Negli ultimi mesi si è parlato molto del programma Artemis della NASA e delle sue reali possibilità di riportare l’uomo sulla Luna entro il decennio, un obbiettivo che, almeno sulla carta, avrebbe dovuto celebrare la rinascita dell’esplorazione spaziale americana. Tuttavia, come spesso accade quando la tecnologia avanza e politica e grandi investimenti si intrecciano, il percorso appare oggi tutt’altro che lineare e, anzi, decisamente accidentato.
Durante un’udienza a Washington infatti, una sottocommissione della Camera ha avviato una revisione approfondita dell’intera strategia NASA, esprimendo un livello di preoccupazione che, in tutta onestà, raramente si era percepito così chiaramente negli ultimi anni; il motivo è tanto semplice quanto allarmante: seguendo l’attuale tabella di marcia, la Cina potrebbe arrivare sul suolo lunare prima degli Stati Uniti.
Un contesto che, per molti lettori appassionati di spazio e tecnologia suonerà familiare, soprattutto se si considera quanto spesso la NASA sia stata condizionata dai cambi di direzione delle varie amministrazioni presidenziali, un elemento che mina la continuità dei programmi a lungo termine, a differenza dell’approccio cinese che, evidentemente, si sta rivelando più solido e coerente.
Indice:
“Non può funzionare”: la critica frontale dell’ex amministratore NASA
Il momento più significativo dell’audizione è arrivato grazie alle parole di Mike Griffin, ex amministratore della NASA e figura assai influente nel panorama aerospaziale. Griffin è da tempo scettico nei confronti dell’architettura scelta per Artemis, basata su lander riutilizzabili che vengono riforniti direttamente in orbita terrestre bassa; un concetto estremamente avanzato certo, ma anche fragile, complesso e ancora non dimostrato operativamente.
La sua dichiarazione, forte e per nulla sfumata, fotografa perfettamente il clima attuale:
La conclusione è che un’architettura che richiede un elevato numero di voli di rifornimento in orbita terrestre bassa, nessuno sa esattamente quanti, che utilizza una tecnologia che non è ancora stata dimostrata nello spazio, è molto improbabile che funzioni, al punto che direi che non può funzionare.
Curiosamente (ma non troppo) Griffin non ha mai citato direttamente SpaceX o Blue Origin, benché sia evidente che i loro progetti Starship e Blue Moon MK 2 siano i principali interessati da queste considerazioni; la sua conclusione è stata quasi provocatoria: le missioni Artemis III e successive andrebbero cancellate, permettendo alla NASA di ripartire da zero con un piano diverso, più classico e più rapido, simile nell’impostazione al celebre Apollo sotto steroidi proposto anni fa.
Il paragone con la Cina
Molti membri della Camera hanno sottolineato un tema che spesso ricorre quando si parla di programmi spaziali statunitensi, ovvero la mancanza di stabilità. Mentre la Cina ha tracciato una roadmap molto chiara e la sta seguendo con rigore, la NASA è stata più volte costretta a rivedere i suoi obbiettivi in base ai cambi di leadership alla Casa Bianca o al Congresso, con effetti evidenti e negativi sulle tempistiche.
Griffin, interpellato sul tema, non ha lasciato spazio a dubbi:
Attenersi a un piano è importante quando il piano ha senso. La Cina si sta attenendo a un piano che ha senso. Assomiglia molto, in effetti, a quello che gli Stati Uniti hanno fatto per Apollo. È dimostrato che ha funzionato. Attenersi a un piano che non funzionerà per Artemis III e oltre non ha senso.
Una stoccata che colpisce nel cuore del problema: la NASA ha bisogno non solo di risorse, ma anche di un quadro politico stabile che permetta di lavorare su progetti decennali senza che questi vengano rimodellati ogni quattro anni.
La NASA come motore dell’innovazione
Accanto alle critiche più dure, non sono mancati interventi più costruttivi, Clayton Swope del Center for Strategic and International Studies ha ricordato come la NASA continui a rappresentare uno dei maggiori catalizzatori dell’innovazione americana, non solo attraverso i programmi umani, ma anche e soprattutto tramite iniziative come il Commercial Lunar Payload Services (CLPS), che sta favorendo la nascita di una vera industria lunare privata.
Secondo Swope, la ricerca di base finanziata dalla NASA è un elemento fondamentale della competitività americana, tanto da definirla una sorta di volano in grado di alimentare sicurezza economica, militare e scientifica nel lungo periodo. Un paragone significativo è arrivato direttamente dalle sue parole: “Senza la scienza, non avremmo mai avuto qualcosa come il Progetto Manhattan“. Un richiamo storico importante, che mette in evidenza come investire nella NASA non significhi soltanto esplorare lo spazio, ma dare forma a tecnologie con ricadute dirette sulla società e sulla geopolitica globale.
Ritardi, sforamenti di budget e appalti poco vincolanti: l’altra faccia del problema
Dean Cheng del Potomac Institute ha invece toccato un nodo molto concreto, spesso sottovalutato nei discorsi pubblici: la gestione degli appalti. Negli ultimi 15 anni, progetti come Orion, SLS e le infrastrutture di terra hanno accumulato anni di ritardo e costi extra di miliardi di dollari, il tutto senza reali conseguenze per i contractor.
Un sistema questo, che secondo Cheng non è più sostenibile, qualunque siano le priorità definite devono prevedere conseguenze chiare per ritardi e sforamenti. Un messaggio diretto alla NASA ma anche al Congresso stesso, che finora ha continuato a finanziare i programmi senza imporre reali scadenze o sanzioni.
Che ne sarà di Artemis?
Guardando al quadro complessivo, la situazione appare piuttosto delicata; l’idea che la Cina possa mettere piede sulla Luna prima degli Stati Uniti rappresenta uno scenario che, negli ambienti politici americani, è percepito come inaccettabile, e proprio per questo il dibattito è destinato a intensificarsi.
Gli utenti e gli appassionati di esplorazione spaziale dovranno dunque pazientare ancora un po’, aspettando che il congresso definisca in modo chiaro se la NASA dovrà proseguire con l’attuale architettura o se si andrà verso una riprogettazione radicale.
Quel che è certo è che il prossimo biennio sarà decisivo, sarà in questa finestra temporale che si capirà se Artemis potrà diventare l’erede spirituale di Apollo o se resterà l’ennesimo programma ambizioso rallentato da politica, budget e aspettative.
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