Negli ultimi anni le auto ibride plug-in (PHEV) sono state spesso presentate come soluzione di compromesso verso la mobilità elettrica, un ponte comodo tra il mondo termico e quello a batteria, con il vantaggio (almeno sulla carta) di poter percorrere buona parte dei tragitti quotidiani in modalità elettrica. Tuttavia, un nuovo studio pubblicato dall’ONG europea Transport & Environment (T&E) mette in luce una realtà decisamente meno rosea, dove i valori dichiarati in fase di omologazione sono lontani dalla guida reale quotidiana e dove, soprattutto, la scarsa abitudine alla ricarica da parte degli utenti rende questi veicoli più inquinanti del previsto.
Troppa distanza tra dati ed emissioni reali per le auto PHEV
Secondo il comunicato stampa diffuso, le falle del sistema WLTP, il ciclo su cui si basano oggi consumi ed emissioni ufficiali, avrebbero permesso ai costruttori di auto di ammorbidire il confronto con i diesel e i benzina tradizionali: sulla carta le PHEV del 2023 rilasciano appena 35 g/Km di CO₂, ma nella pratica i valori salgono fino a 135 g/Km, riducendo il vantaggio reale a un misero 19% rispetto ai veicoli esclusivamente termici (166 g/Km); una discrepanza enorme, che ha di fatto consentito alle case automobilistiche europee di evitare multe per circa 6 miliardi di euro e di rinviare la transizione verso l’elettrico puro, vendendo oltre 1 milione di BEV in meno tra il 2021 e il 2023 rispetto a quanto previsto.
A pesare è soprattutto il comportamento degli automobilisti, senza una ricarica costante (che sia domestica o pubblica) la componente elettrica diventa inutile, trasformando l’auto in un veicolo più pesante del corrispettivo termico e quindi ancora più energivoro.

Il rapporto evidenzia dati concreti, la Mercedes GLC 350e per esempio, tra il 2021 e il 2023 ha quasi triplicato l’autonomia elettrica omologata (da 44 a 112 Km), ma la riduzione reale delle emissioni si è fermata a un modesto -6%, ben lontano dal -55% dichiarato via WLTP. Un andamento simile emerge anche sui modelli come BMW X5 PHEV e Range Rover Sport PHEV, dove l’incremento delle dimensioni della batteria e, paradossalmente, della potenza termica serve soprattutto a compensare il peso extra, annullando il vantaggio tecnico.
L’asimmetria tra i valori teorici e l’uso quotidiano non si traduce solo in un impatto climatico maggiore del previsto, i proprietari di PHEV finiscono per spendere circa 940 euro in carburante in più all’anno rispetto alle stime ufficiali, perché l’auto di fatto funziona per gran parte del tempo come veicolo termico mascherato.

La Commissione Europea è già al lavoro per correggere il metodo di calcolo WLTP, con un percorso in due fasi:
- fase 1 (2025) -> parametri aggiornati per le nuove immatricolazioni, più aderenti allo scenario reale
- fase 2 (2027-2028) -> ulteriori affinamenti per ridurre quasi del tutto il distacco tra teoria e pratica
L’obbiettivo è premiare i veicoli che vengono effettivamente ricaricati e penalizzare quelli usati come semplici ibridi di facciata.
Nonostante i numeri, T&E non boccia l’idea delle auto plug-in in senso assoluto, in Cina, dove le infrastrutture sono più capillari e gli utenti hanno una maggiore propensione alla ricarica quotidiana, la formula PHEV funziona come reale ponte verso la piena elettrificazione; ma senza incentivi corretti e senza dati trasparenti, in Europa continueranno a essere percepite e utilizzate come un escamotage normativo, più che come un passo verso le zero emissioni.
In altre parole, prima di pensare a batterie più grandi serve costruire un sistema che favorisca le ricariche costanti e, soprattutto, una misurazione che rifletta ciò che realmente accade su strada. Solo così le plug-in potranno recuperare credibilità e diventare una soluzione autenticamente sostenibile, invece di un paracadute contabile per l’industria automobilistica.
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