Martedì, ancora una volta, Huawei ha respinto le preoccupazioni spionistiche e le relative accuse provenienti dagli USA con uno dei suoi massimi funzionari nel Vecchio Continente che ha negato l’esistenza di legami fra il governo comunista cinese e le proprie infrastrutture di rete.

Tim Watkins, vicepresidente di Huawei Western Europe, ha affermato che il conglomerato non rispetterebbe le richieste di informazioni di Pechino nel caso in cui dovesse ricevere richieste di questo tipo che implicano di compromettere i dati dei clienti, in particolare quelli dei clienti stranieri. Il dirigente ha anche detto che Huawei non ha mai ricevuto alcuna richiesta del genere, ribadendo così l’affermazione spesso propagandata dagli altri dirigenti negli ultimi anni.

C’è da dire che gli USA accusano fortemente la una di azioni spionistiche attraverso le infrastrutture di Huawei ma non c’è bisogno di andare oltre il caso di Edward Snowden per scoprire ed avere le  prove che il governo americano spia i suoi cittadini in un modo che a volte non implica mandati rilasciati dalla procura.

Il modo in cui gli Stati Uniti si confrontano con la Cina dipende dai criteri utilizzati, ma per quanto riguarda le libertà personali e l’oppressione del governo, il paese dell’Estremo Oriente è certamente molto più aggressivo nei suoi sforzi per monitorare l’opinione pubblica di quanto Washington non sia mai stato o addirittura tentato di essere. La stessa cosa la si può dire per l’Italia che, tranne alcuni casi recentissimi, si è dimostrata essere una terra d’oro per la libertà di parola.

Parlando sul fronte italiano, la corsa al 5G sfruttando le infrastrutture di Huawei è ancora viva e non sembra avere più freni rispetto al passato. La stessa cosa non la si può dire per diversi altri stati, fra cui Nuova Zelanda e UK che hanno già vietato l’acquisto di infrastrutture di rete a marchio Huawei.