Mentre in Europa Microsoft è coinvolta, insieme ad Apple e Google, in un’azione di verifica da parte dell’UE sul modo in cui i tre colossi contrastano le truffe online, in Australia il colosso di Redmond si trova al centro di una causa legale per la mancata trasparenza dei piani di Microsoft 365.

La causa è stata intentata dalla Commissione australiana per la concorrenza e i consumatori (Australian Competition and Consumer Commission, ACCC) che accusa l’azienda di aver ingannato i propri utenti nascondendo un piano di abbonamento più economico per Microsoft 365. Secondo l’autorità, infatti, Microsoft avrebbe deliberatamente occultato un’alternativa che permetteva di mantenere il vecchio prezzo dell’abbonamento, privo delle nuove funzioni basate sull’intelligenza artificiale.

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L’accusa nei confronti di Microsoft

Tutto è iniziato con l’annuncio di un aumento dei prezzi per i piani Microsoft 365, giustificato dall’introduzione di Copilot, il pacchetto di funzionalità AI pensato per potenziare la produttività degli utenti. La comunicazione inviata agli abbonati lasciava intendere che esistessero solo due scelte disponibili: accettare il nuovo piano con il prezzo maggiorato oppure procedere alla cancellazione. Stando alle ricostruzioni della ACCC, esisteva un terzo piano, chiamato “Classic”, che permetteva di continuare a usare il servizio senza Copilot e senza alcun aumento di prezzo.

Il problema, secondo l’autorità australiana, sta nel fatto che questa opzione non era visibile né menzionata in modo chiaro nelle comunicazioni ufficiali. L’unico modo per scoprirla era avviare la procedura di cancellazione dell’abbonamento. Solo in quel momento, prima della disdetta definitiva, veniva mostrata la possibilità di passare al piano Classic, identico nella struttura al vecchio abbonamento e privo delle funzionalità AI. Una scelta che, secondo la presidente dell’ACCC, Gina Cass-Gottlieb, avrebbe favorito la diffusione dei piani più costosi con Copilot, danneggiando i consumatori e limitando la trasparenza.

Le segnalazioni arrivate alla commissione sono state più di cento. In seguito a un’indagine, la ACCC ha deciso di procedere legalmente contro Microsoft, sostenendo che il comportamento dell’azienda ha influenzato un numero significativo di utenti e ha rappresentato una strategia finalizzata all’aumento dei ricavi, più che a un’informazione corretta e completa.

Microsoft ha risposto affermando che la fiducia dei consumatori e la trasparenza sono tra le sue priorità, che è pronta a collaborare e che intende garantire il pieno rispetto degli standard legali ed etici. Ora sarà compito dei tribunali stabilire se l’approccio di Microsoft sia stato effettivamente ingannevole oppure conforme alle normative australiane.

Violazione dei diritti dei consumatori o facoltà commerciale?

La questione centrale ora è stabilire se il comportamento di Microsoft possa essere considerato una violazione delle norme sulla trasparenza commerciale oppure se rientri, legittimamente, nelle strategie di mercato adottabili da un’azienda. Offrire un piano alternativo soltanto agli utenti che avviano la procedura di cancellazione potrebbe essere interpretato, da un lato, come una forma di retention, una tattica spesso utilizzata anche negli e-commerce quando, per esempio, si inviano sconti mirati a chi abbandona il carrello.

In questa prospettiva, la proposta del piano “Classic” potrebbe essere letta come un incentivo personalizzato per trattenere il cliente nel momento più critico del ciclo di abbonamento. Dall’altro lato, però, nascondere questa opzione a chi non arriva fino alla fase di disattivazione rischia di configurarsi come una mancanza di trasparenza, soprattutto se il piano alternativo presenta condizioni più vantaggiose o in linea con quanto già sottoscritto in precedenza. La linea tra strategia commerciale e omissione ingannevole, in casi come questo, è sottile e spetterà al tribunale chiarire se Microsoft abbia agito nell’ambito delle proprie facoltà aziendali o se abbia violato il diritto dei consumatori a una scelta consapevole.