Nelle scorse ore il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato pubblicamente l’intenzione di applicare una tariffa del 100% su chip e semi conduttori importati, una misura che sulla carta mira a incentivare la produzione nazionale; tuttavia, come spesso accade con le dichiarazioni del tycoon americano, il messaggio è stato accompagnato da una scappatoia tanto grande quanto il provvedimento stesso: chiunque dimostri anche solo l’intenzione concreta di produrre negli Stati Uniti potrà evitarla.

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Trump usa le minacce per far produrre i chip negli USA

L’annuncio è arrivato durante una conferenza stampa trasmessa in diretta, nel contesto di una cerimonia che ha visto Apple presentare un nuovo piano di investimenti per la produzione sul suolo americano; proprio l’azienda di Cupertino, secondo Trump, avrebbe già fatto abbastanza per sfuggire ai nuovi dazi, e il presidente lo ha sottolineato con enfasi ricevendo in cambio una statuetta commemorativa placcata in oro, un gesto simbolico che ha fatto discutere.

Nel dettaglio, Trump ha spiegato che la tariffa non si applicherà alle aziende che costruiscono negli Stati Uniti o che si sono impegnate in maniera chiara a farlo, inoltre la produzione effettiva non è nemmeno necessaria, almeno non nell’immediato; è sufficiente essere in procinto di costruire, come lo stesso presidente ha dichiarato in un passaggio chiave del suo discorso.

Una posizione che, pur restando coerente con l’obbiettivo di riportare la produzione entro i confini nazionali, rischia di trasformarsi in una gigantesca zona grigia, facilmente sfruttabile dalle aziende più abili nel marketing.

A tal proposito il confine tra chi sarà soggetto ai dazi e chi invece potrà evitarli è tutt’altro che chiaro, le parole di Trump lasciano spazio a interpretazioni, tanto che lo stesso ha ammesso che, qualora un’azienda non dovesse mantenere le promesse di investimento, i costi delle tariffe verrebbero recuperati successivamente; un’ipotesi che, più che un deterrente, sembra una minaccia a posteriori con margini applicativi discutibili.

Nonostante il tono deciso, rimane aperta la questione su quali aziende saranno effettivamente colpite, molti dei principali produttori di semiconduttori infatti hanno già avviato (o annunciato) iniziative per espandere la produzione negli USA; è il caso ad esempio di TSMC, già coinvolta in un massiccio investimento da 100 miliardi di dollari sul territorio americano.

Inoltre, non è chiaro se le tariffe si applichino direttamente ai produttori di chip o anche, e forse soprattutto, a chi li utilizza nei propri prodotti, come nel caso di Apple che progetta internamente i chip ma si affida a TSMC per la produzione.

C’è poi un altro punto da considerare, le tariffe annunciate non sono ancora attive e in passato Trump ha già minacciato provvedimenti simili per poi escluderli successivamente dal pacchetto ufficiale, lo stesso è accaduto nei primi mesi dell’anno quando le tariffe sui chip furono escluse dalla lista definitiva pubblicata ad aprile; stavolta però, il presidente potrebbe davvero voler dare un segnale forte e tangibile.

Intanto, l’entrata in vigore di nuove tariffe generalizzate verso decine di Paesi, mette in luce un ulteriore tassello nel mosaico protezionista che Trump sta cercando di costruire, e mentre le aziende si affrettano a impegnarsi a costruire negli USA, resta da capire quanto questa nuova mossa influenzerà la filiera globale dei chip, in un momento in cui i costi di produzione in America sono già stimati tra il 5% e il 20% in più rispetto all’estero.

Non ci resta che attendere per scoprire se si tratterà dell’ennesima minaccia rimasta sulla carta, o dell’inizio di un cambiamento strutturale che potrebbe avere ripercussioni su tutta l’industria tecnologica mondiale.