Il 51% dei dati dichiarati dagli exchange di criptovalute sulle transazioni che vedono coinvolto il Bitcoin sarebbero palesemente falsi. Ad affermarlo è Forbes, all’interno di un suo rapporto in cui sono messe sotto la lente d’ingrandimento ben 157 piattaforme di scambio. A rendere evidente la situazione sono le discrepanze riscontrate nei dati relativi al 14 giugno dell’anno in corso, quando gli analisti di Forbes hanno calcolato in 128 miliardi di dollari il volume reale degli scambi in BTC, contro i 262 che si otterrebbero dalla somma dei dati dichiarati dai 157 exchange esaminati. In pratica oltre la metà di queste transazioni non avrebbero alcun riscontro.

Se questa prima parte del report di Forbes è sorprendente, ma forse neanche troppo, molto più gustosa è quella nella quale si afferma che a contribuire alla distorsione dei dati non sarebbero tanto le piattaforme meno conosciute, bensì le maggiori, le quali non sono costrette a sottostare a particolare sorveglianza normativa in relazione alla diffusione dei propri dati.

Se si mettono insieme i numeri forniti dagli exchange meno regolamentati dello studio di Forbes, si raggiunge un risultato pari a circa 89 miliardi di dollari per il volume reale a fronte dei 217 miliardi che vengono dichiarati. Una situazione di cui nomi come Binance, MEXC Global e Bybit approfitterebbero senza molti scrupoli, tanto da spingere legittimamente gli osservatori a porsi una domanda: perché lo fanno?

La risposta sembra in fondo abbastanza semplice: il wash trading, ovvero la pratica tesa a gonfiare i dati relativi alle transazioni che avvengono su una piattaforma, rappresenta una sorta di pratica autopromozionale, tesa a fornire l’impressione che un determinato asset stia assumendo una popolarità sempre crescente o sia in una fase di contrattazione serrata, ovvero in una fase di trend accentuato.

Il wash trading degli exchange sul Bitcoin è ormai un problema

Se apparentemente il wash trading appare come una pratica discutibile, ma in fondo innocente, all’atto pratico non è esattamente così. Il mercato delle criptovalute è uno dei segmenti più volatili in assoluto, ove i token possono dare luogo a sbalzi clamorosi in archi temporali brevissimi.

Basta in effetti vedere gli effetti che hanno i frequenti messaggi postati da Elon Musk su Twitter e relativi a BTC e Dogecoin, ma non solo, per capire come il settore sia abituato a muoversi con forti scosse in reazione a determinati avvenimenti. Taroccare i dati sulla compravendita di Bitcoin e spingere i trader a reagire in qualche modo di fronte ad una situazione non reale, può essere visto alla stregua di una vera e propria turbativa del mercato.

Lo ricorda proprio il rapporto di Forbes, spiegando che il motivo per cui alcuni trader si impegnano nel wash trading gonfiando il volume degli scambi di un asset in modo tale da dare l’impressione di una crescente popolarità ha conseguenze di larga portata. In alcuni casi i bot di trading reagiscono tenendo conto dei dati diffusi dalle piattaforme, mentre allo stesso tempo gli addetti ai lavori aggiungono un ulteriore motivo di confusione utilizzando commenti rialzisti. In pratica la salita del prezzo che ne consegue è paragonabile all’ormai famigerato pump and dump.

Il problema è reso ancora più vistoso dalla mancanza di un metodo universale di valutazione dei volumi di scambio. Proprio il dato relativo al 14 giugno lo dimostra in maniera eloquente, considerato come quel giorno le transazioni in Bitcoin fossero attestate su Nomics a 57 miliardi di dollari, su CoinMarketCap a 32, su CoinGecko a 27 miliardi e su Messari ad appena 5. Differenze effettivamente troppo vistose per poter riuscire a dare una reale idea della situazione.

Secondo Sam Bankman-Fried molti exchange sarebbero insolventi

Il wash trading è una pratica estremamente controversa e potenzialmente lesiva per i trader. Non rappresenta però il problema più grande che gli scambi di criptovalute prospettano a mercati e investitori. In una intervista rilasciata a Forbes da Sam Bankman-Fried, il CEO di FTX, molte piattaforme di scambio crypto sono ormai insolventi, pur nascondendo la reale situazione.

Secondo lui, nell’immediato futuro molti exchange dovranno dichiarare fallimento. Ove ciò si verificasse, la situazione diventerebbe molto seria, considerata la polemica sorta qualche mese fa in relazione alla possibilità che Coinbase potesse fallire. In quella occasione, infatti, le improvvide dichiarazioni del suo CEO, Brian Armstrong, su quanto dichiarato in una relazione aziendale fornita alla SEC,  avevano dato l’impressione a molti che in caso di crac potrebbero essere utilizzate le criptovalute dei clienti per colmare i buchi.

In particolare era stato un esperto di asset virtuali molto reputato e seguito su Twitter, CryptoWhale, ad affermare in un suo messaggio che nel caso in cui Coinbase dovesse fallire, i dirigenti useranno i soldi (virtuali) dei clienti per mettersi in salvo. Parole allarmanti che saranno tornate sicuramente alla memoria di chi ha depositato le proprie criptovalute nei wallet degli exchange, pensando di conservarle in un luogo virtuale sicuro dopo la dichiarazione di Bankman-Fried.

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