Com’è noto, negli Stati Uniti la questione dei monopoli non viene presa sotto gamba, a livello legislativo, in quanto infrangerla limita le prerogative dei consumatori. Lo Sherman Antitrust Act, varato nel 1890 da un senatore repubblicano dell’Ohio, non è stato usato con grande frequenza. Quando però lo è stato ha comportato provvedimenti draconiani, a partire dallo smembramento della compagnia petrolifera Standard Oil o dai provvedimenti i quali posero fine al monopolio dell’American Tobacco Company.

A saggiare questa scarsa attitudine a scherzare da parte delle autorità federali è ora Apple. L’azienda di Cupertino, infatti, è al momento sotto un vero e proprio fuoco incrociato: da una parte è sotto la lente d’ingrandimento dell’Antitrust a stelle e strisce per Apple Pay, dall’altro deve affrontare una class action da parte degli studi legali Hagens Berman e Sperling & Slater. Secondo i querelanti, la società starebbe calamitando entrate pari a circa un miliardo di dollari all’anno grazie all’utilizzazione di pratiche lesive del principio di concorrenza.

L’action class è stata svelata al pubblico da Bloomberg e non giunge alla stregua di una vera e propria novità. Già l’Unione Europea ha espresso perplessità in tal senso, dopo la denuncia di PayPal nel mese di maggio. Per Apple si preannuncia quindi una vera e propria battaglia campale, da cui non solo la sua reputazione, ma anche le sue casse potrebbero uscire ammaccate.

Apple Pay, il motivo del contendere

Quali sono i motivi di fondo su su cui si reggono le contestazioni a Apple Pay? In particolare, è sotto accusa una scelta ben precisa operata dall’azienda, quella tesa in pratica a rendere impossibile alla concorrenza l’accesso alla tecnologia NFC integrata negli iPhone e grazie alla quale è possibile procedere ai pagamenti. In pratica per gli utenti si presenta una sola opzione disponibile, appunto Apple Pay. Si tratta di una questione di non lieve entità, se si considera che grazie a questo stratagemma le emittenti devono versare una commissione pari allo 0,15% per la carte di credito e di mezzo centesimo per quelle di debito.

Se a portare avanti la denuncia a livello di Unione Europea è stata PayPal, negli Stati Uniti la class action tesa a smascherare l’atteggiamento monopolistico di Apple non vede la concorrenza agitare il proprio dito per indicare l’azienda di Tim Cook, bensì i consumatori. A livello di immagine, probabilmente, si tratta di un attacco ancora più insidioso, in quanto allarga la questione da semplice bega tra aziende concorrenti a vera e propria questione di democrazia economica.

Per poter realizzarsi, infatti, questa esige che le posizioni di imprese e consumatori non siano troppo squilibrate, come avviene a favore delle prime ogni qualvolta venga ad essere violato il principio di concorrenza, favorendo la effettiva formazione di un monopolio.

Nel caso di Apple Pay, questo principio viene ad essere violato in maniera molto evidente, secondo i consumatori che hanno optato per la class action. Nel ricorso, infatti, si fa esplicito riferimento alla politica portata avanti da Google, con Android, ove sono presenti svariati portafogli, oltre naturalmente a Google Pay (che nel documento viene erroneamente indicato come Samsung Pay).

Un paragone il quale sembra assolutamente calzante, considerate le similitudini tra i due servizi di pagamento elettronico. Ad essere diverso è invece il fatto che mentre Google si muove correttamente, offrendo le necessarie alternative agli utenti, Apple non lo fa e pone in tal modo le basi per una vera e propria rendita di posizione.

Si tratta peraltro di una questione non soltanto ideologica, se si pensa che mentre nel caso di Google le emittenti delle carte non devono versare nulla, per Apple Pay c’è un versamento aggiuntivo, sotto forma di costi che poi sicuramente saranno riversati sui consumatori. Dando vita a questo congegno la casa di Cupertino è in grado, secondo le stime alla base del ricorso, di procacciarsi ogni anno entrate aggiuntive pari a un miliardo di dollari.

Soldi che non entrerebbero nelle sue casse nel caso in cui iPhone venisse aperto ad altri portafogli. Proprio per questo motivo l’azione dei consumatori potrebbe da un lato non essere risolutiva, ma dall’altro portare comunque ad una discussione su un tema che negli Stati Uniti continua ad avere notevole peso. Una discussione nella quale Apple sembra avere tutto da perdere, anche alla luce dell’indagine in corso in Europa e di pratiche commerciali le quali sembrano violare apertamente lo Sherman Antitrust Act.

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