Secondo il fondatore di Twitter, Jack Dorsey, il Web3 sarebbe già obsoleto, tanto da spingerlo ad incamminarsi senza indugi verso il Web 5, fondato a sua volta sul Bitcoin. A formalizzare il tutto è stato l’annuncio di TBD, società controllata da Block, relativo all’intenzione di costruire un nuovo web decentralizzato, in cui BTC sarà chiamato a svolgere un ruolo fondamentale nell’evoluzione di Internet.

Si tratta in effetti di un endorsement non privo di implicazioni, se si pensa che a differenza del Web3, il quale va ad incorporare tecnologia blockchain e tokenizzazione nell’intento di decentralizzare la tradizionale concezione di Internet, il Web5 è al contrario concepito alla stregua di un sistema basato su un solo network distribuito, quello di Bitcoin.

A spiegare meglio come sia strutturata quest’ultima versione del web è stato, proprio su Twitter, l’utente Namcios, indicandolo come un ecosistema formato da diverse componenti software che lavorando in parallelo contribuiscono a migliorare l’esperienza dell’utente permettendo al tempo stesso una gestione decentralizzata delle identità. Per farlo utilizzerà ION, descritto come “un network DID aperto, pubblico e permissionless basato sulla blockchain di Bitcoin.

I motivi della scelta di Jack Dorsey

Alla base della sua preferenza per il Web5 l’ex CEO di Twitter ha messo l’impossibilità da parte del Web3 di conseguire la totale decentralizzazione. A renderlo impossibile sarebbero in particolare le società di venture capital che, a suo dire, ne avrebbero il reale possesso, sottraendolo alla collettività. Ovvero l’esatto contrario di quanto è stato teorizzato sin qui dai suoi esegeti.

Un parere il quale è stato espresso con molta forza nel dicembre del 2021, quando Dorsey non mostrò eccessivi peli sulla lingua affermando che sostanzialmente il Web3 è un’entità centralizzata, abbellita semplicemente da una semplice etichetta. In pratica la sua accusa è che le grandi aziende stiano utilizzando una sorta di greenwashing applicato al web per perseguire come sempre i propri interessi privati.

Alla luce di questa affermazione non stupisce eccessivamente l’annuncio di TBD, anche se resta da capire perché la stessa azienda dovrebbe avere interesse a favorire la formazione di un’entità di cui non avrebbe, in definitiva, il controllo.

Cos’è il Web3 e cosa si propone

Per Web3 si intende in pratica la nuova generazione di Internet, basata principalmente sull’utilizzo di una serie di tecnologie di ultima generazione. Al suo interno i contenuti non sarebbero più fisicamente ed esclusivamente legati a server e piattaforme di aziende private, almeno all’apparenza, ma prodotti dagli utenti, quindi da loro controllati.

Il web 3.0, in particolare, si va sviluppando in tre direzioni principali:

  • la restituzione dei dati personali agli utenti che li producono;
  • il varo di architetture informatiche più aperte, intercomunicabili, in buona sostanza più “democratiche”;
  • lo sfruttamento di tecnologie peer-to-peer (P2P), della blockchain, di software open-source, realtà virtuale e Internet of Things (IoT).

Tra le tecnologie chiamate a dare un forte contributo al suo sviluppo occorre invece ricordare la realtà virtuale (VR) e aumentata (AR), l’intelligenza artificiale (AI) e il machine learning (ML). Il loro impiego contribuisce a fornire un quadro in cui si possono ravvisare i seguenti vantaggi:

  • la possibilità di offrire servizi in ogni momento, grazie all’utilizzo della blockchain, senza interruzioni di sorta;
  • la presenza di livelli di sicurezza e resistenza più elevati, in grado di resistere meglio agli attacchi hacking o Denial of Service (DDoS);
  • quella di standard di privacy più elevati, derivanti dalla mancata necessità di fornire un’identità del mondo reale al fine di distribuire o interagire con una dApp;
  • la garanzia in termini di resistenza ad eventuali tentativi di censura;
  • la totale integrità dei dati, derivante dall’immutabilità di quelli che sono archiviati sulla blockchain.

Se questi sono i vantaggi più rilevanti (ma non i soli), sull’altro piatto della bilancia occorre mettere:

  • la bassa scalabilità attuale, conseguenza del fatto che le blockchain difettano in termini di capacità della gestione di grandi volumi. Si tratta comunque di un neo in fase di attenuazione, grazie allo sviluppo di protocolli di consenso sempre più potenti;
  • la necessità di passaggi e software aggiuntivi per dare luogo all’interazione con le applicazioni Web 3.0, con possibili rallentamenti nell’adozione di massa;
  • la presenza di costi eccessivi in termini di interazione con le applicazioni blockchain, collegati al pagamento di commissioni per effettuare le operazioni su queste catene;
  • la crescente difficoltà e complessità per quanto riguarda lo sviluppo e la manutenzione delle dApp. Un difetto evidenziato in particolare dagli smart contract, i quali richiedono molto tempo per poterli modificare al fine di risolvere un problema di sicurezza, tanto da consigliare non a riscriverli, bensì a vararne di sostituitivi.

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