Alla fine, Google ha dovuto arrendersi e cedere alle pressioni. L’azienda infatti pagherà più di 300 editori in Germania, Ungheria, Francia, Austria, Paesi Bassi e Irlanda per le notizie che fanno la loro comparsa sul motore di ricerca. Inoltre, provvederà al lancio di uno strumento il quale è in grado di facilitare la registrazione per i giornali e gli autori non ancora aderenti al programma.

Si tratta della logica (?) conclusione di una vicenda che ha tratto le origini dall’approvazione delle nuove regole sui diritti d’autore da parte dell’UE, avvenuta tre anni fa. La direttiva del 2019 permette in pratica agli editori che pubblicano notizie online di intraprendere una negoziazione con i giganti del web un pagamento per il copyright. In pratica obbliga Google, Facebook e altri a condividere i ricavi che traggono origine dalla circolazione dei contenuti prodotti e pubblicati da una lunga serie di soggetti come le testate giornalistiche, i musicisti, gli artisti, gli interpreti e gli sceneggiatori. 

A riportare la notizia è un comunicato emesso da Google sul blog aziendale e firmato da Sulina Connal, direttore per le notizie e le partnership editoriali, in cui vengono descritti i dettagli dell’accordo e le tappe attraverso le quali si è giunti all’attuale risoluzione. Andiamo quindi a vedere meglio quanto affermato dallo stesso.

I dettagli dell’accordo e il suo funzionamento

Dopo aver spiegato come Google abbia aiutato le persone a reperire informazioni collegandosi a notizie e altri siti Web, supportando editori e giornalisti mediante prodotti a hoc e una tecnologia tesa a supportare la pubblicità, Sulina Connal ha affermato che ora l’azienda si avvia ad un nuovo sforzo, nel solco tracciato da Google News Showcase, al quale hanno dato adesione 750 teste di ogni parte del vecchio continente.

L’accordo in essere sarebbe un ulteriore sforzo rispetto a quanto concordato in precedenza. Il suo funzionamento parte proprio da quanto affermato nella direttiva europea del 2019, la quale permette ai motori di ricerca di collegarsi liberamente e di utilizzare link e “brevissimi estratti” delle notizie pubblicate dalle varie testate giornalistiche. Al contempo accorda ad essi una nuova serie di diritti, quelli legati alla maggiore lunghezza dell’anteprima o dell’estratto mostrato dal motore di ricerca.

Se, a detta di Google, non esiste una vera e propria definizione di estratto breve e lungo, la società ha deciso di remunerare gli editori anche per i contenuti che vanno oltre i link e i brevi estratti, sulla linea di quanto già accade in Germania. È Reuters ad affermare che lo strumento in questione accorda a Google la possibilità di mostrare frammenti e miniature a pagamento.

Quanto pagherà Google? Ancora non si sa nulla

Sin qui, sembra in effetti tutto chiaro. Al momento, però, c’è un dettaglio mancante, non proprio di secondaria importanza, anzi. Nel suo intervento Sulina Connal non accenna minimamente alle cifre. Occorre sottolineare che proprio su questo punto gli editori hanno posto un accento particolare nel corso dei tre anni passati dall’approvazione del provvedimento sul copyright.

Si tratta del resto di una questione ormai sul tavolo da tempo, tale da aver spinto la Francia a sanzionare Google con una multa pari a 500 milioni di euro, per non essere riuscita a varare un equo accordo con gli editori che, pure, era richiesto da un vero e proprio ordine esecutivo. Mentre l’Australia ha deciso a sua volta di provvedere approvando una legge con il preciso intento di rendere obbligatori i pagamenti.

Anche il Canada si è mosso in tal senso. Il governo ha infatti varato una nuova legge, nell’intento di costringere i giganti del web a risarcire le testate giornalistiche per l’utilizzo dei contenuti creati. In base alla nuova normativa le Big Tech che riproducono o indirizzano l’accesso ai contenuti delle notizie, devono pagare la Commissione canadese per la radiotelevisione e le telecomunicazioni (CRTC).

I fondi ottenuti in tal modo saranno a loro volta indirizzati alla sostenibilità dell’ecosistema di notizie canadese, andando di conseguenza a sostenere un settore il quale ha subito notevoli perdite dall’avvento di Internet e dal conseguente spostamento del baricentro informativo, compresi gli introiti pubblicitari, verso il web.

Ancora oltre è andata la Spagna, il cui governo ha costretto alla chiusura Google News già nel 2014. A portare la situazione alle estreme conseguenze è stata in particolare l’approvazione di una legge sui diritti d’autore che riconosceva il “diritto inalienabile” degli editori a essere remunerati dagli aggregatori di notizie tramite il cosiddetto “Canon Aede”, stabiliva inoltre come ogni trattativa venisse resa obbligatoria attraverso un ente di gestione. Soltanto ora, a seguito dell’approvazione della direttiva europea l’aggregatore di notizie di Big G tornerà a fare capolino sulla rete iberica.

E cosa accadrà in Italia?

Se in altri Paesi la situazione si era già mossa anche con il concorso delle istituzioni, in Italia come al solito tutto ciò non si è verificato. Sembra quasi che il governo italiano preferisca mandare avanti gli altri su materie che, pure, sono estremamente importanti, su un tema delicato come quello dell’informazione. In tal modo, però, il nostro Paese si ritrova spesso ad essere una sorta di ventre molle per le grandi aziende.

Se Google ha portato avanti una politica tesa naturalmente a tutelare i propri interessi di parte, lungo la penisola non ha praticamente mai trovato una vera azione di contrasto da parte della politica. In pratica soltanto la direttiva europea ha permesso agli editori dislocati lungo la penisola di veder riconosciuto il proprio diritto a vedere remunerati i contenuti pubblicati. Ora non resta quindi che attendere le prossime tappe di una vicenda la quale potrebbe essere tutt’altro che esaurita. A riaprirla potrebbe essere proprio la questione dei compensi.

Leggi anche: Google e Facebook obbligati in Canada a risarcire giornali e giornali in base ad una proposta governativa