Elizabeth Warren ha varato un disegno di legge che mira ad impedire alla Russia di sfuggire alle sanzioni decise da Stati Uniti e alleati dopo lo scoppio della guerra con l’Ucraina utilizzando criptovalute. La senatrice democratica ha infatti presentato il Digital Asset Sanctions Compliance Enhancement Act alla commissione bancaria del Senato, dopo aver preannunciato su Twitter il suo intento.

La senatrice del Massachusetts è nota da tempo al grande pubblico come feroce avversario del denaro virtuale. E proprio questa avversione della Warren è stata additata da alcuni osservatori in relazione alla “curiosa” presenza di una disposizione all’interno del provvedimento, la quale potrebbe andare a colpire anche utenti di criptovalute presenti all’interno del suolo statunitense. Andiamo quindi a vedere più da vicino di cosa si tratta.

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Il Digital Asset Sanctions Compliance Enhancement Act: di cosa si tratta?

Il Digital Asset Sanctions Compliance Enhancement Act è stato congegnato da Liz Warren in modo da consegnare al Segretario al Tesoro degli Stati Uniti Janet Yellen una “chiara autorità” al fine di impedire agli exchange di criptovaluta posizionati all’interno degli Stati Uniti e agli operatori del settore di facilitare le transazioni con wallet riconducibili a cittadini russi.

Inoltre il disegno di legge darebbe al presidente Joe Biden la possibilità di emettere sanzioni secondarie a danno di attori sospettati di aiutare persone ed entità russe a eludere le sanzioni utilizzando asset virtuali.

Il provvedimento è stato presentato dalla Warren da Jack Reed, presidente della commissione per i servizi armati del Senato, da Mark Warner, presidente della commissione per l’intelligence del Senato e da Jon Tester, presidente della sottocommissione per gli stanziamenti per la difesa del Senato. È inoltre condiviso e sponsorizzato da sette colleghi, tutti democratici.

La ratio del provvedimento

A spiegare le ragioni che l’hanno spinta a presentare il suo disegno di legge è stata la stessa Warren, la quale ha affermato che Putin e i suoi sodali sarebbero in grado di spostare, immagazzinare e nascondere i propri beni utilizzando le criptovalute. In tal modo sarebbe possibile alla Russia di eludere le storiche sanzioni economiche decise dagli Stati Uniti e dai suoi partner come risposta alla guerra contro l’Ucraina.

Sulla questione, però, non sono molti ad avere le stesse sicurezze della senatrice statunitense. Soprattutto una parte del mondo crypto ha già affermato che bastano le normative KYC (Know-Your-Customer) e AML (Anti Money Laundering), cui devono sottostare gli exchange, ad impedire che il denaro virtuale possa aiutare realmente la Russia ad eludere le sanzioni.

Senza contare che proprio il modo in cui è congegnata la tecnologia blockchain rappresenterebbe il miglior deterrente verso l’occultamento delle operazioni in questione. Un dato di fatto sostenuto da lungo tempo dalla Bitcoin Foundation, in risposta alle accuse della finanza tradizionale nei confronti di BTC, oltre che da Gaspare Jucan Sicignano.

Proprio il ricercatore in diritto penale dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, nel suo “Bitcoin e riciclaggio”, afferma che token basati sulla blockchain offrirebbe scarsissime garanzie a chi decida di utilizzarli per transazioni illecite

Resta però da capire se il governo russo non sia intenzionato a sfruttare le cosiddette Privacy Coin, a partire da Monero e Zcash. Queste monete virtuali sono infatti in grado di assicurare il massimo di riservatezza a chi effettua spostamento di risorse e proprio per effetto di questa caratteristica sono da tempo additate come grandi protagoniste all’interno del Dark Web. Ovvero la parte di Internet in cui avvengono ogni giorno traffici di stupefacenti, armi ed esseri umani.

Le accuse di Coin Center

A margine dell’iniziativa di Elizabeth Warren, sono però da registrare le accuse rivolte alla senatrice da Coin Center, un think thank di Washington. I lobbisti favorevoli agli asset digitali, infatti, hanno affermato che il Digital Asset Sanctions Compliance Enhancement Act utilizzerebbe un linguaggio vago nel preciso intento di imporre restrizioni radicali all’ecosistema delle criptovalute.

Secondo loro il rafforzamento delle sanzioni a danno della Russia non sarebbe altro che la foglia di fico tesa a nascondere un preciso attacco contro Bitcoin e Altcoin. La tesi è contenuta all’interno di un post scritto da Jerry Brito e Peter Van Valkenburgh, in cui si afferma che il disegno di legge proposto andrebbe a punire in maniera indiscriminata sviluppatori di software, operatori di rete e minatori di criptovalute.

Una tesi molto forte, la quale non suonerebbe però eccessivamente sorprendente alla luce della virulenza degli attacchi portati anche nel recente passato dalla Warren e da altri settori, in particolare democratici, della politica a stelle e strisce. Tesi la quale, però, sembra non tenere conto del recente ordine esecutivo di Biden a favore di asset virtuali e dollaro digitale, indicati dalla Casa Bianca come interesse strategico per il Paese.

L’iperattivismo della Warren colpisce anche le concentrazioni

La senatrice del Massachusetts non si è limitata peraltro a occuparsi di criptovalute. Nelle stesse ore, infatti, il suo nome ricorreva anche in relazione al Prohibiting Anticompetitive Mergers Act, progetto di legge con il quale ha affrontato il tema delle concentrazioni che potrebbero nuocere al principio di libera concorrenza su cui si dovrebbe fondare il sistema capitalista.

Il disegno di legge in questione è stato presentato in concorso con il rappresentante democratico per lo Stato di New York Mondaire Jones e il suo fulcro è rappresentato dal divieto a qualsiasi accordo di acquisizione di valore che superi i 5 miliardi di dollari.

Il progetto di legge presentato al Congresso degli Stati Uniti punta soprattutto a porre in atto un efficace sbarramento nei confronti delle acquisizioni tra grandi società. La ragione che ha spinto Warren e Jones a presentare il provvedimento è la constatazione che tale pratica negli ultimi anni è diventata una vera e propria consuetudine tra le grandi aziende tecnologiche.

E’ stata la stessa Liz Warren a presentare il suo disegno di legge ricordando come nel corso degli ultimi cinque decenni le grandi aziende abbiano potuto schiacciare la concorrenza, abusando del potere di mercato assunto per “dissanguare i consumatori”, a detrimento dei lavoratori e delle piccole imprese”.

Un comportamento contrario alla Costituzione che ora la senatrice si propone di stroncare in concorso con Mondaire Jones. Il loro provvedimento consegna al Dipartimento di Giustizia e alla Commissione Federale sul Commercio strumenti più adatti a far rispettare le leggi antitrust vigenti.

Ove la nuova legge venisse approvata il Dipartimento di Giustizia e la Commissione Federale sul Commercio dovrebbero considerare non solo il valore di un’eventuale operazione di fusione/acquisizione, ma anche il suo impatto sui lavoratori, in termini occupazionali. Proprio ad essi affiderebbe quindi il potere di opporsi all’operazione nel caso in cui risultasse ad essi dannosa.

Non si tratta in effetti di una questione da poco. A ricordarlo è stato il cofirmatario del disegno di legge Jones, il quale ha avuto facile gioco nel sottolineare i danni arrecati al sistema economico dalle grandi acquisizioni degli ultimi anni. Testimoniati con solare evidenza dalla riduzione dei salari e dall’aumento dei prezzi deciso dalle aziende ormai diventate veri propri monopoli.

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