Satoshi Nakamoto è ormai da tempo una figura leggendaria, un vero e proprio mito alimentato dalla sua scomparsa dai radar, avvenuta nel 2008. Da allora in molti cercano di capire chi si nasconda dietro quello che può essere considerato a tutti gli effetti un alias. Una ricerca alimentata dall’importanza ormai assunta dalla sua creazione, il Bitcoin, diventato il fulcro di un nuovo ordine finanziario, lo stesso che nelle intenzioni del suo creatore doveva andare a soppiantare quello tradizionale.

La sua continua e ormai ossessiva ricerca, peraltro, può essere considerata alla stregua di una vera e propria caccia al tesoro. Negli indirizzi Bitcoin a lui associati, infatti, sono presenti oltre un milione di BTC. Anche se volessimo considerare l’ultima quotazione del token, attestata intorno ai 30mila dollari, si tratterebbe di una cifra gigantesca, ovvero trenta miliardi di dollari. Alla luce di una somma così imponente, superiore al Prodotto Interno Lordo di centinaia di Paesi di ogni parte del globo, non stupisce che la ricerca riprenda periodicamente.

Sino a questo momento le ipotesi relative all’identificazione del “vero” Satoshi Nakamoto sono decine, più o meno fondate. Andiamo quindi a vedere quali personalità del mondo crypto siano state di volta in volta indicate in tal senso.

Il punto di partenza: Satoshi Nakamoto creò il Bitcoin a Londra?

Un buon punto di partenza per cercare di capire il contesto in cui è nata l’icona crypto è rappresentato da un articolo uscito sul The Chain Bulletin, in un editoriale all’interno del quale sono stati resi noti i risultati di una ricerca condotta nel preciso intento di ricostruire, per quanto possibile, gli eventi culminati nella creazione del Bitcoin.

L’articolo è stato pubblicato il 23 novembre del 2020 e firmato da Doncho Karaivanov, prendendo le mosse dall’analisi minuziosa dei post Bitcointalk di Satoshi, quelli su SourceForge, le comunicazioni di posta elettronica e molti altri dati ancora oggi disponibili.

Al termine di questo dettagliato lavoro, i ricercatori hanno avanzato un’ipotesi molto precisa: all’epoca dei fatti Satoshi Nakamoto viveva e lavorava a Londra (ipotesi che è stata peraltro ripresa da “Diavoli”, fiction sul mondo della finanza andata in onda nelle ultime settimane su Sky). Un’ipotesi la quale è andata ad unirsi ad un’altra, secondo la quale il vero creatore di BTC non sarebbe di nazionalità giapponese o australiana.

Uno degli indizi più interessanti in tal senso è rappresentato da un messaggio che Nakamoto ha provveduto a includere nel blocco che ha condotto alla genesi di Bitcoin: “The Times 03/Jan/2009 Chancellor on brink of second bailout for banks.”. In pratica si tratta di una citazione diretta tratta da un articolo pubblicato proprio dal quotidiano londinese, il 3 gennaio del 2009, riferito ad un piano di salvataggio delle banche britanniche, in quel momento in grave difficoltà. La versione online dell’articolo, però, riportava un titolo diverso dall’edizione cartacea britannica. Se Satoshi avesse vissuto all’epoca negli Stati Uniti, non avrebbe quindi potuto esserne al corrente.

C’è poi la questione relativa alle modalità linguistiche le quali caratterizzano tutto il materiale consultato nella ricerca. Tutte riconducibili ad un modo di parlare tipico di chi ha origini britanniche. Un indizio di non poco conto, che ha spinto gli autori del lavoro a concludere che Satoshi Nakamoto era britannico e viveva a Londra. Un buon punto di partenza per iniziare a dare contorni più precisi alla ricerca? Non proprio.

I maggiori indiziati

Nel corso degli anni sono stati molti ad essere indicati come il “vero” Satoshi Nakamoto. Tra le tante ipotesi occorre ricordare le seguenti:

  • Sergey Nazarov, ideatore di Chainlink. Ad indicarlo in tale veste è stato UX Sequence, che ha supportato la sua tesi con alcuni fatti di un certo rilievo. Il primo è rappresentato dall’acquisto da parte sua del dominio smartcontract.com proprio a sei giorni di distanza dalla pubblicazione del white paper di Bitcoin. È lo stesso sito attualmente legato a LINK e secondo gli estensori del rapporto sarebbe un primo indizio abbastanza interessante.
    Il secondo è poi rappresentato dall’apparizione di Nazarov in un video con Ben Chan in cui ha affermato di essere entrato nel settore in un periodo in cui Nakamoto stava procedendo alacremente alla creazione di BTC, per poi correggersi.
    Infine, nel 2013 Nazarov avrebbe usato una metafora su Kokichi Mikimoto, spiegando come questi creò artificialmente perle di forma perfettamente sferica, le stesse che soppiantarono ben presto quelle naturali, sino a costituire il 90% di quelle vendute a livello globale. La storia ha notevoli affinità con quella di Satoshi Nakamoto e la creazione del Bitcoin;
  • Paul Calder Le Roux, un ex ingegnere del software e informatore della DEA (Drugs Enforcement Agency), attualmente detenuto per essersi reso colpevole di sette omicidi, traffico di stupefacenti e gestione di un cartello criminale, dopo la sua cattura, avvenuta nel 2012. Proprio la sua incarcerazione spiegherebbe la scomparsa dell’inventore di BTC dalla circolazione, ipotesi considerata molto attendibile da un noto giornalista investigativo, Paul Ratliff;
  • Yasutaka Nakamoto, un ingegnere di alto livello della Pacific West Airlines che lavorava per l’organizzazione di Pablo Escobar, operando da corriere della droga dal Sud America agli Stati Uniti. Scomparso definitivamente dalla circolazione nel 1992, è stato indicato in tal senso da Olof Gustaffson, CEO di Escobar Inc., multinazionale associata al signore della droga colombiano. Gli ultimi segnali di vita da parte sua sarebbero da rintracciare in un articolo del Los Angeles Times risalente al 1 ottobre di quell’anno, in cui si indica Yasutaka A. Nakamoto come un dipendente di Hughes Aircraft scampato ad un attentato dinamitardo avente come oggetto la sua auto;
  • Dan Kaminsky, indicato a sua volta da un articolo di Steemit e noto per l’attività di ricercatore nel campo della sicurezza informatica. La sua fama deriva in particolare dalla scoperta, risalente al 2008, della vulnerabilità nota come DNS cache poisoning (o DNS spoofing). La sua identificazione è dovuta in particolare ad un’analisi condotta sullo stile di scrittura di Satoshi su Bitcointalk, dalla quale emerge l’utilizzo di doppi spazi dopo ogni frase. Lo stesso vezzo esibito da Kaminsky in un articolo risalente al 2016, in cui questi smentisce l’affermazione di Craig Wright di aver fornito la prova di essere il vero inventore di BTC. In altri scritti del 1998 ospitati all’interno del suo blog, emerge poi l’abitudine di scrivere ok sempre in maiuscolo, e l’utilizzo di molte virgole e parentesi per enfatizzare i pensieri espressi. Abitudini analoghe a quelle di Satoshi Nakamoto;
  • Len Sassaman, indicato a sua volta da uno scrittore, Leung, il quale ha portato a supporto della sua tesi in particolare il fatto che questi, prima del suo suicidio, avvenuto nel 2011, aveva lavorato in qualità di capo manutentore del codice del remailer anonimo Mixmaster e di Randseed. Il remailer anonimo ha un modo di funzionamento analogo a quello di un nodo Bitcoin, accettando messaggi e istruzioni su archiviazione e invio senza rendere noto il punto di origine. Ha inoltre lavorato come ricercatore e dottore di ricerca presso il Computer Security and Industrial Cryptography Research Group (COSIC), che aveva come consulente quello che è considerato il padre delle criptovalute, David Chaum. Anche Sassaman, peraltro, usava un inglese puro, come quello di Satoshi Nakamoto;
  • Adam Back, CEO e co-fondatore di Blockstream, indicato in tale veste su Reddit. Proprio lui, nel 1997, ha ideato un sistema analogo alla Proof of Work impiegata ancora oggi come modalità di consenso sulla blockchain di Bitcoin, all’interno di HashCash, progetto sfociato successivamente nella nascita di un moneta digitale descritta in un documento del 2002. Lo stesso Back ha però smentito ricordando di essere stato uno dei primi a scambiare corrispondenza elettronica con l’inventore di BTC, proprio sul tema delle monete virtuali;
  • Hal Finney, morto di SLA nel 2014, il cui corpo è stato ibernato nella speranza di poterlo riportare in vita una volta trovata la cura per la sua malattia. Nel suo caso gli indizi sono la sua partecipazione alla prima transazione implicante il trasferimento di 10 BTC, da lui stesso menzionata su Reddit e un tweet del 2009 in cui dichiarava l’inizio della corsa dell’icona crypto. Di certo, non gli mancavano le competenze per varare un progetto complesso come Bitcoin: laureato in ingegneria informatica presso il California Institute of Technology (CalTech) nel 1979, ha lavorato in qualità di sviluppatore di videogiochi, varando titoli come Astroblast e Space Attack e successivamente a PGP con Phil Zimmermann;
  • Elon Musk, in pratica l’ultimo della serie, indicato in tale veste da un ex stagista di SpaceX, Sahil Gupta, in un post pubblicato su Medium. La tesi è supportata dalle competenze in tema di criptografia dell’uomo più ricco del mondo, e relative al linguaggio di programmazione C++ che ha fatto da base al varo di Bitcoin. Altro indizio è poi rappresentato da una telefonata tra Gupta e Sam Teller, ex capo dello staff di Musk, risalente al 2017 nella quale, di fronte ad una sua precisa domanda sulla possibilità che il fondatore di Tesla sia il vero Satoshi Nakamoto il suo interlocutore avrebbe risposto in maniera molto ambigua, senza peraltro smentire tale eventualità.

Tante ipotesi, nessuna certezza

La questione relativa alla vera identità di Satoshi Nakamoto rappresenta un enigma al momento inestricabile. Se quelle che abbiamo ricordato sono le personalità indicate di volta in volta che per un motivo o per l’altro rappresentano qualcosa di più di una semplice boutade, ce ne sono molte altre che hanno avuto i propri cinque minuti di gloria nel corso degli ultimi anni. Resta da capire al tempo stesso se li abbiano graditi o meno.

A rendere ancora più affascinante la storia sono anche i tanti eventi paralleli alla vicenda. A partire da quelli che hanno interessato John McAfee, fondatore dell’omonima casa di cyber-security che ha affermato nel maggio del 2020 di sapere al 99% chi è il vero Satoshi Nakamoto. Non lo ho però mai svelato e non potrà più farlo, in quanto si sarebbe suicidato il 23 giugno del 2021 nella cella in cui era ospitato in attesa di essere estradato negli Stati Uniti. Il condizionale è d’obbligo, in quanto secondo la moglie sarebbe invece stato ucciso in quanto in possesso di dettagli su codici fantasma e software su dispositivi spia.

L’autoproclamato

Come abbiamo poi visto, tutti coloro che vengono indicati di volta in volta come il vero Satoshi Nakamoto smentiscono decisamente o non commentano affatto, preferendo con tutta evidenza non essere associati ad un’identità così “pesante”.

Con una sola eccezione, quella rappresentata da Craig Wright, uomo d’affari australiano che continua ad arrogarsi il ruolo ormai dal 2015. Proprio in quell’anno, infatti, indagini portate avanti da Wired e Gizmodo hanno iniziato ad avanzare l’ipotesi, supportate da BBC e Economist a partire dal 2 maggio del 2016. A sostegno della quale il fatto che Wright aveva firmato digitalmente i propri messaggi utilizzando chiavi crittografiche create nel corso dei primi giorni del lavoro di sviluppo di Bitcoin.

Nello stesso giorno degli articoli, non è mancato il colpo di scena rappresentato da un post sul sito di Craig Wright, in cui l’uomo d’affari è stato associato al misterioso Satoshi e ha pubblicato un messaggio con una firma crittografica allegata. Una semplice messa in scena secondo Dan Kaminsky, Jeff Garzik, Jordan Pearson e Lorenzo Franceschi-Bicchierai, resa possibile dalla semplice riutilizzazione da parte di Wright di una vecchia firma di una transazione realizzata da Satoshi.

La sua rivendicazione, però, è stata inizialmente supportata da personaggi come Gavin Andresen, Roger Ver, Calvin Ayre e lo stesso John Mc Afee. Un supporto che è però venuto meno a seguito della vicenda di Bitcoin Cash, progetto che secondo molti aveva il preciso intento di screditare la blockchain regina, affermando che con il tempo avesse preso una direzione contraria a quella che il suo fondatore aveva immaginato.

Un’insinuazione portata avanti dallo stesso Wright, cui però gli altri primattori non hanno inteso associarsi. Da quel momento il businessman australiano è stato in pratica emarginato dall’intera comunità che sostiene le criptovalute, continuando però a presentarsi come il vero inventore di BTC, venendo per questo bollato dagli avversari come Faketoshi. Lo ha fatto in particolare nel corso di una clamorosa causa giudiziaria, quella intentata contro di lui da Ira Kleiman, fratello di Dave, anche quest’ultimo indicato come il vero Satoshi (probabilmente con qualche pezza d’appoggio in più).

La vicenda giudiziaria, terminata con l’obbligo a risarcire il querelante con 100 milioni, ha avuto il Tulip Trust al suo centro. Proprio questo ente era infatti depositario di 1,1 milioni di token e per evitare di doverne versare la metà ad Ira Kleiman, Wright doveva provare di essere realmente Satoshi Nakamoto. Tra un colpo di scena e l’altro, alla fine non è stato in grado di produrre la prova definitiva al riguardo.

La domanda iniziale, relativa alla reale identità dell’ideatore dell’icona crypto, resta quindi del tutto attuale e, anzi, sta dando vita a molto lavoro agli sceneggiatori televisivi e cinematografici. Del resto il materiale per lasciare libera di correre la fantasia non manca di certo.

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