Immuni è già stata scaricata da tanti italiani ed è funzionante ormai in tutto il Paese dopo il periodo di test, ma non tutti sono convinti del suo funzionamento: il Bluetooth, non essendo nato per questo genere di utilizzo, potrebbe infatti dar luogo a diversi falsi allarmi e “falsi positivi”, generando allarmi ingiustificati con gravi conseguenze.

Immuni genererà troppi falsi allarmi?

Come abbiamo avuto modo di approfondire nelle scorse settimane, l’app Immuni utilizza il Bluetooth per il tracciamento dei potenziali contatti con persone positive al COVID-19, e non la localizzazione GPS. Perché un utente venga notificato dell’esposizione a un possibile contagio deve essere avvenuto un contatto per un tempo superiore ai 15 minuti e a meno di 2 metri di distanza, ma come specificato anche dagli stessi sviluppatori di Bending Spoons, non è realistico pensare di non avere falsi positivi e falsi negativi.

Questo perché Immuni usa l’attenuazione del segnale Bluetooth Low Energy per ricavare una stima della distanza. Nonostante i vari test di calibrazione e i miglioramenti apportati durante lo sviluppo dell’app (che continueranno ad arrivare), il Bluetooth è molto influenzato da fattori di disturbo, per esempio gli ostacoli che si frappongono tra gli smartphone.

La vicenda che tutti abbiamo avuto modo di leggere, riguardante il caso della 63enne di Bari rimasta “imprigionata” a causa di una notifica dell’app Immuni e poi fortunatamente “liberata” dall’esito negativo di un tampone, rischia di non essere affatto un caso isolato. L’alert di Immuni non può eseguire un’indagine su ciò che è realmente accaduto e fa scattare un protocollo automatico che invita le persone all’autoisolamento.

In questo modo si rischia dunque di “generare falsi allarmi con potenziali gravi conseguenze“, come sostiene l’esperto di Diritto dell’Informatica e presidente di Anorc Professioni, Andrea Lisi. “Il rischio grosso è che le persone possano risentirsi, chiedere a qualche avvocato se i loro diritti siano stati violati. Si sta già paventando quali possano essere le richieste di risarcimento se le notifiche sono inesatte. Il collega Giovanni Crea, esperto di protezione dei dati personali, ha paventato anche il data breach, se i dati sono inesatti. Perchè i dati inesatti comportano conseguenze per l’applicazione del GDPR. Il titolare di questo trattamento, il Ministero della Salute, dovrebbe interrogarsi su quei dati, su come garantirne l’integrità.

L’esperto asserisce addirittura che il governo dovrebbe riflettere se mettere da parte questo progetto e pensarlo in modo diverso, considerando tutte le conseguenze possibili. Questo tipo di tecnologia “non è in grado di misurare accuratamente le distanze“, né ovviamente di capire se le persone interessate da un alert stessero indossando una mascherina: “Bisogna essere sottoposti immediatamente a tampone e verificare, ad esempio, se al momento del contatto il soggetto indossava i dispositivi di protezione necessari“. Inoltre, sostiene Lisi, l’app non considera tutti coloro che sono stati intorno al soggetto che ricevere la notifica, che dovrebbero anch’essi autoisolarsi.

Siete d’accordo con le parole di Andrea Lisi o trovate che l’app Immuni possa funzionare sufficientemente bene da garantire maggiore sicurezza ai cittadini durante questa fase dell’epidemia COVID-19? Fateci sapere come sempre la vostra, nel frattempo vi lasciamo ai link per scaricare l’app.