L’applicazione IMMUNI è stata realizzata con uno scopo ben preciso: guidare la riapertura del Paese dopo il lockdown obbligatorio per via dell’emergenza Coronavirus. Il suo funzionamento, strettamente legato al sistema sanitario nazionale, permette infatti di agire prontamente in caso di sviluppo di nuove zone di contagio, come del resto sta accadendo in queste ultime settimane in alcune regioni italiane.

L’app IMMUNI non va come dovrebbe

Purtroppo, però, secondo gli ultimi dati, sembra che IMMUNI sia utilizzata solo da 4 milioni di persone. Quest’andamento, ben al di sotto del valore maggiore o uguale a 6 milioni, non soddisfa il governo che l’ha così tanto valorizzata prima e dopo il lancio ufficiale. Secondo le ultime informazioni pare che il governo stia lavorando ad una strategia per spingere i cittadini ad utilizzare IMMUNI, sottolineando anche la poca efficacia di altri sistemi sviluppati in alcune regioni italiane.

Come spiega il ministro dell’Innovazione Paola Pisano, “l’app tecnologicamente e tecnicamente sta funzionando e si sta integrando bene con il sistema sanitario, non più sotto pressione come prima: dialoghiamo settimanalmente con tutte le Regioni“. Il ministro ha più volte indicato come sia necessario disporre di un’unica applicazione altrimenti si rischia di non avere il controllo dei dati e diventa difficile individuare nuovi focolai.

Il ministro per i rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, assieme al viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri, invitano senza mezzi termini “a scaricare l’app che serve a proteggerci a livello nazionale. Non bisogna fare delle app per singole Regioni, occorre avere una protezione a livello nazionale“.

Il riferimento è velato ma evidentemente indirizzato alle soluzioni realizzate dalla regione Lombardia, Sicilia e Sardegna, rispettivamente “AllertaLom“, “SiciliaSiCura” e “SardegnaSicura” scaricate complessivamente diverse milioni di volte.

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