Nel nome della semplificazione amministrativa, il governo starebbe valutando un cambiamento destinato a incidere in modo concreto sulla vita quotidiana di milioni di famiglie italiane; il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica è infatti al lavoro su una bozza di nuovo Decreto del Presidente della Repubblica che andrebbe ad abrogare il DPR 74 del 2013, riscrivendo le regole sui controlli degli impianti termici e aprendo, di fatto, alla fine delle ispezioni in presenza per la maggior parte delle caldaie domestiche.

Una novità che, se confermata, potrebbe entrare in vigore a partire dal 2026 e che ha già acceso un confronto tra istituzioni, addetti ai lavori e associazioni di categoria, con posizioni molto distanti tra loro.

Cosa prevede la bozza del nuovo DPR

Il cuore del provvedimento è contenuto nell’articolo 8, comma 3, una norma apparentemente tecnica che però ha implicazioni enormi; il testo prevede l’eliminazione delle ispezioni in situ per tutti gli impianti con potenza inferiore ai 70 kW, una soglia che include praticamente tutte le caldaie domestiche a gas installate in Italia.

Parliamo di circa 20 milioni di impianti, di cui almeno 7 milioni con più di quindici anni di servizio alle spalle. Per questi, i controlli verrebbero effettuati esclusivamente a distanza, attraverso verifiche documentali basate sui catasti regionali e provinciali degli impianti termici, senza più accessi fisici nelle abitazioni da parte degli enti preposti.

L’obbiettivo dichiarato è quello di ridurre gli obblighi per i cittadini e abbattere i costi legati alle verifiche periodiche; una semplificazione che, almeno sulla carta, suona bene, ma che nella pratica solleva più di una perplessità.

Il nodo dei controlli a distanza sulle caldaie

Il problema principale, evidenziato da diversi osservatori e in particolare dal mondo dell’artigianato, riguarda l’effettiva affidabilità del sistema su cui si baserebbero questi nuovi controlli. I catasti degli impianti termici infatti funzionano a macchia di leopardo, con piattaforme diverse da regione a regione che spesso non dialogano tra loro, e che raramente incrociano i dati con quelli relativi alle forniture di gas, all’anagrafe degli immobili o all’abitabilità.

Affidare la sicurezza delle abitazioni a verifiche da scrivania presupporrebbe un’infrastruttura informatica omogenea e interoperabile che, allo stato attuale, semplicemente non esiste; il rischio, secondo gli addetti ai lavori, è quello di trasformare i controlli in un esercizio puramente burocratico, incapace di intercettare situazioni potenzialmente pericolose.

Meno verifiche, più rischi?

La bozza del decreto introduce anche uno standard minimo nazionale, un controllo di efficienza energetica ogni quattro anni. Le regioni avrebbero la possibilità di prevedere ispezioni più frequenti, ma solo fornendo una motivazione considerata robusta e ottenendo il via libera del ministero. Un passaggio che rischia di scoraggiare proprio quei territori che negli anni hanno costruito sistemi di controllo più avanzati.

La Lombardia è spesso citata come esempio, qui viene ispezionato ogni anno circa il 5% degli impianti, alternando i controlli di efficienza alla pulizia delle caldaie. Un modello che, soprattutto in aree critiche come la Pianura Padana, ha contribuito a migliorare la sicurezza, ridurre le emissioni e contenere i consumi.

Secondo Marco Accornero, segretario generale dell’Unione Artigiani di Milano e Monza Brianza, il rischio è evidente: alleggerire gli oneri per le famiglie, sì, ma a scapito della sicurezza e dell’ambiente; un po’ come eliminare le revisioni auto perché costano, con il risultato di avere più incidenti e più inquinamento.

Sicurezza domestica e impatto ambientale

I numeri, del resto, invitano alla prudenza. Secondo i dati del Comitato Italiano Gas, tra il 2019 e il 2023 si sono verificati 1.119 incidenti legati al gas canalizzato per uso civile, con 128 decessi e 1,784 feriti; dati che riportano il dibattito dal piano normativo a quello, molto più concreto, della sicurezza nelle case.

A questo si aggiunge il tema ambientale, nelle grandi città, Milano in testa, l’accensione stagionale dei riscaldamenti coincide spesso con il superamento delle soglie di inquinamento. Ridurre i controlli su impianti vecchi e poco efficienti potrebbe significare accettare maggiori emissioni e sprechi di gas, proprio mentre si parla di transizione energetica e riduzione dei consumi.

Una riforma ancora aperta

Va comunque sottolineato che il decreto è ancora in fase di elaborazione e potrebbe subire modifiche prima dell’approvazione definitiva, proprio per questo, l’Unione Artigiani e altre realtà del settore chiedono al governo di fermarsi, riconsiderare il testo e valutare con attenzione gli effetti reali di una norma che, pur presentandosi come una semplificazione, rischia di avere conseguenze profonde.

Come spesso accade, il punto di equilibrio tra meno burocrazia e più sicurezza non è affatto scontato; bisognerà attendere per capire se, dal 2026, i controlli delle caldaie in casa diventeranno solo un ricordo.

I nostri contenuti da non perdere: