L’Italia entra ufficialmente nell’era della regolamentazione digitale. Dopo anni di dibattiti, linee guida provvisorie e “auto-regolamenti” tra brand e agenzie, arriva la delibera Agcom n.197/2025: un provvedimento destinato a ridisegnare il perimetro legale del lavoro da influencer. L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni istituisce infatti il primo albo ufficiale degli influencer rilevanti, un registro pubblico che impone criteri minimi, obblighi di trasparenza e un vero e proprio codice di condotta ispirato al Digital Services Act europeo.
Dietro l’apparente burocrazia si nasconde un cambio di paradigma: i creator diventano operatori della comunicazione a tutti gli effetti, assimilati – almeno in parte – ai fornitori di servizi audiovisivi. In un Paese dove esistono albi per quasi ogni professione, mancava quello dedicato a chi influenza milioni di persone con un reel o una storia. Ora non manca più.
Indice:
- Un registro che cambia gli equilibri
- Come funziona l’iscrizione
- Le soglie per entrare nell’albo
- Un albo, ma non un ordine
- Il codice di condotta: trasparenza e responsabilità
- Tutela dei minori e responsabilità editoriale
- Le sanzioni previste
- Cosa cambia per creator e aziende
- Gli ultimi dubbi del settore
- Tre mesi per mettersi in regola
Un registro che cambia gli equilibri
L’albo nasce come strumento di trasparenza. Non introduce esami, titoli o percorsi abilitanti – non sarebbe realistico – ma definisce per la prima volta chi è un influencer “rilevante” e quali responsabilità ha verso il pubblico. Il registro, consultabile pubblicamente e aggiornato due volte l’anno (aprile e ottobre), ospiterà i profili che superano determinate soglie numeriche oppure che decidono volontariamente di iscriversi per certificare la propria adesione alle nuove regole di condotta.
L’obiettivo è duplice: contrastare la pubblicità occulta e offrire uno standard comune per chi lavora con brand e piattaforme, garantendo maggiore tutela anche agli utenti finali.

L’iniziativa si inserisce in un contesto normativo già delineato a livello europeo. Il DSA aveva infatti aperto la strada, imponendo maggiore responsabilità a chi veicola contenuti con impatto economico o informativo sul pubblico.
Come funziona l’iscrizione
L’iscrizione all’albo si effettua esclusivamente online, attraverso un modulo disponibile sul sito ufficiale Agcom. Il creator deve indicare i propri profili social, le metriche aggiornate (follower e visualizzazioni), un domicilio digitale e un documento d’identità. Tutto il processo avviene in modalità telematica, con scadenza fissata a febbraio 2026 per la prima finestra utile. L’elenco completo verrà quindi pubblicato in primavera, inaugurando ufficialmente la nuova fase della regolamentazione.
Chi desidera, può inserire spontaneamente il proprio nome anche senza raggiungere le soglie minime. In questo modo, creator di dimensioni più piccole o emergenti possono dichiarare pubblicamente la loro adesione alle linee guida Agcom, ottenendo maggiore credibilità commerciale e chiarezza nei confronti dei brand.
Le soglie per entrare nell’albo
Il cuore del provvedimento sta però nei numeri. Agcom stabilisce due requisiti quantitativi che determinano l’obbligo di registrazione:
- almeno 500.000 follower complessivi sulle principali piattaforme social, calcolati al trentesimo giorno precedente la domanda;
- oppure una media di 1 milione di visualizzazioni mensili negli ultimi sei mesi su una singola piattaforma.
Chi rientra in almeno una di queste due soglie è automaticamente considerato “influencer rilevante” e deve iscriversi. Secondo le prime stime, si tratterebbe di circa 2.000 creator italiani, un numero apparentemente limitato ma che comprende molte figure di spicco del panorama digitale – dai content creator di professione fino a celebrità, sportivi e personaggi televisivi con attività digitali continuative.
Resta però aperto un nodo interpretativo: come conteggiare esattamente follower e visualizzazioni? Cosa succede con i contenuti co-creati, dove il pubblico è condiviso tra più profili? E come vanno trattati i video pubblicati su più piattaforme contemporaneamente? Sono questioni tutt’altro che marginali, che diverse agenzie stanno già segnalando all’Authority in cerca di chiarimenti.
In attesa di specifiche linee guida, l’Agcom ha confermato che il conteggio dovrà basarsi sui dati ufficiali delle piattaforme, ma non ha ancora dettagliato i casi di cross-posting o collaborazioni occasionali.

Un albo, ma non un ordine
Nonostante la terminologia, non si tratta di un ordine professionale. Non ci sono titoli da conseguire né quote di iscrizione da versare. L’albo è piuttosto una piattaforma di trasparenza, utile per tracciare e certificare l’attività di chi svolge comunicazione d’impatto economico. Si aggiorna due volte l’anno e può servire anche come vantaggio competitivo per chi lavora con i brand: essere iscritti significherà presentarsi come interlocutori conformi alle regole Agcom, quindi più “sicuri” per collaborazioni e partnership.
Il codice di condotta: trasparenza e responsabilità
Agcom introduce un codice di comportamento che riafferma principi già noti ma spesso disattesi nel marketing digitale. Gli influencer devono rendere immediatamente riconoscibili tutti i contenuti di natura commerciale. Hashtag come #adv, #pubblicità o #sponsorizzato diventano obbligatori, così come icone o indicatori visivi che segnalino in modo inequivocabile la presenza di un messaggio promozionale.
Anche le collaborazioni non retribuite o i prodotti ricevuti gratuitamente devono essere segnalati, eliminando il margine di ambiguità che finora ha reso spesso sfumati i confini tra contenuto “autentico” e inserzione.
Un’eccezione è concessa solo ai casi di autopromozione: un autore che pubblicizza un proprio libro, un brand personale o un evento non è obbligato a dichiarare la natura pubblicitaria del contenuto.
Il codice di condotta estende inoltre la sua portata ai contenuti creati o modificati con intelligenza artificiale. In linea con le tendenze tecnologiche più recenti, ogni immagine, video o audio generato tramite AI deve essere accompagnato da un’indicazione chiara – per esempio “immagine generata con intelligenza artificiale” o “foto modificata digitalmente”. Una misura pensata per difendere la trasparenza e contrastare l’uso ingannevole delle tecniche di manipolazione, in un’epoca in cui il confine tra reale e artificiale è sempre più sottile.
Tutela dei minori e responsabilità editoriale
La protezione dei più giovani rappresenta un secondo pilastro della riforma. I creator devono adottare tutte le impostazioni offerte dalle piattaforme per limitare la visione di contenuti non adatti ai minori, e astenersi dalla pubblicazione di messaggi che possano risultare volgari, discriminatori o istigatori di comportamenti violenti.
Il principio di “responsabilità editoriale” non è nuovo – appare già nella normativa audiovisiva tradizionale – ma viene qui adattato al linguaggio e ai formati del web. Chi diffonde notizie o commenti è tenuto ad assicurare correttezza, evitando fake news o messaggi fuorvianti.
Molti osservatori hanno tuttavia segnalato una potenziale sovrapposizione normativa. Alcuni comportamenti vietati dal codice Agcom sono già puniti da leggi esistenti o dal Codice della pubblicità dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP). Il rischio è quello di moltiplicare i livelli di controllo senza migliorare davvero la chiarezza interpretativa.
Le sanzioni previste
Il quadro sanzionatorio è tutt’altro che simbolico. Le multe possono arrivare fino a 250.000 euro per violazioni legate alla mancata trasparenza commerciale, e fino a 600.000 euro nei casi che coinvolgano la tutela dei minori. L’Agcom può inoltre ordinare la rimozione dei contenuti, sospendere un creator dall’albo o, nei casi più gravi, cancellarlo definitivamente.
Rischiano sanzioni anche gli influencer che rientrano nei requisiti ma non si iscrivono entro i termini stabiliti. Le verifiche potranno partire d’ufficio o su segnalazione: non solo da parte dell’Authority, ma anche degli utenti stessi.
Sul fronte dei brand, la novità impone un’ulteriore due diligence: prima di una collaborazione, sarà necessario verificare lo status dell’influencer nel registro. Chi sceglierà partner conformi alla normativa potrà contare su maggiore sicurezza e minori rischi reputazionali.
Cosa cambia per creator e aziende
Per i creator professionisti, la delibera segna una transizione obbligata verso la piena accountability. Non basterà più scrivere post creativi: servirà anche una gestione documentale precisa, con metriche verificabili e contratti trasparenti. Per le agenzie e i brand, invece, l’albo può trasformarsi in uno strumento di selezione: collaborare con influencer iscritti ridurrà i rischi di controversie su pubblicità occulte o contenuti ingannevoli.
In prospettiva, il nuovo sistema potrebbe portare vantaggi anche al pubblico, che potrà distinguere più facilmente tra contenuti spontanei e sponsorizzazioni, migliorando la fiducia nell’ecosistema digitale.
Gli ultimi dubbi del settore
Le reazioni non si sono fatte attendere. Mentre alcune voci del settore hanno accolto il provvedimento come un passo avanti verso la professionalizzazione, altre ne hanno criticato le ambiguità interpretative. La sensazione diffusa nel settore sembra stare in questa frase: “L’Italia ha un albo degli influencer, ma non si capisce chi debba iscriversi davvero”.
Un dubbio condiviso anche da molti professionisti digitali visto che la Digital Chart resta il riferimento principale per la comunicazione commerciale online e viene pienamente recepita nel codice Agcom. In pratica, il nuovo albo rappresenta un’estensione ufficiale e istituzionale di principi che da anni l’IAP e le associazioni di settore cercavano di far rispettare attraverso l’autodisciplina.

Tre mesi per mettersi in regola
Il conto alla rovescia è già iniziato: i creator hanno tre mesi per completare la registrazione, con scadenza fissata indicativamente alla fine di febbraio 2026. Il primo elenco ufficiale sarà pubblicato entro la primavera, e da quel momento scatterà l’effettiva applicazione del codice di condotta. Da lì in poi chi non sarà in regola rischierà sanzioni, sospensioni o rimozioni, a seconda della gravità delle violazioni.
Con l’albo degli influencer, l’Italia si avvicina finalmente a un modello europeo di regolamentazione della creator economy. Il sistema è perfettibile, pieno di zone grigie e ancora aperto a interpretazioni, ma rappresenta un primo tentativo concreto di colmare un vuoto che stava diventando insostenibile.
Il messaggio è chiaro: l’epoca del Far West digitale è finita. Chi parla a milioni di persone ogni giorno dovrà farlo sapendo che la propria voce – e i propri contenuti – hanno ora un perimetro di responsabilità definito.
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