L’Italia fa da apripista alla cancellazione da Google dei contenuti chiaramente lesivi per la reputazione delle persone interessate. Si chiama “diritto all’oblio” e a renderlo possibile è un emendamento alla riforma della giustizia che porta il nome del precedente Guardasigilli, Cartabia, proposto da un deputato di Azione, Enrico Costa.

In gergo tecnico il termine utilizzato per l’operazione in questione è deindicizzazione, da Google e dagli altri motori di ricerca e risponde alla logica dell’emendamento in questione, spiegata dallo stesso proponente: i motori di ricerca dovranno dissociare i nomi degli assolti dalle notizie circolanti in rete sulle inchieste da cui sono risultati innocenti.

Sembra in effetti una norma di civiltà, ma in un Paese come il nostro, ove qualsiasi questione viene strumentalizzata per evidenti fini di parte, anche in questo caso non sono tardate le polemiche. Andiamo quindi a vedere meglio cosa sta accadendo in queste ore.

Diritto all’oblio: cosa dice la nuova norma sulla cancellazione da Google

La pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del Decreto legislativo 10 ottobre 2022, n.150, avvenuto il passato 17 ottobre, ha praticamente spianato la strada all’attuazione piena della cosiddetta Riforma Cartabia, ovvero la legge 27 settembre 2021, n. 134 con cui è stato riformato il processo penale. È stato lo stesso Enrico Costa ad annunciarlo su Twitter.

Già la riforma in questione aveva suscitato forti critiche in molti ambienti e spesso giustificate. Molto meno giustificate sembrano però quelle che hanno salutato l’articolo 64 ter “Diritto all’oblio degli imputati e delle persone sottoposte ad indagini”, secondo il quale coloro che vedono riconosciuta la propria innocenza per effetto di una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, oppure di un provvedimento di archiviazione hanno facoltà di richiedere che i contenuti e i dati personali che sono riportati sull’atto non siano indicizzati dai motori di ricerca.

Tutto normale? Non proprio, in assoluta linea con quanto accade ogni volta che si parla di giustizia nel nostro Paese, da decenni a questa parte, in particolare dallo scoppio di Tangentopoli, lo scandalo che portò interi pezzi di classe politica della Prima Repubblica alla sbarra, sancendone praticamente la fine.

Cancellazione da Google: atto di civiltà o tentativo di censura?

L’entrata in vigore del diritto all’oblio, avvenuta il passato 30 dicembre, ha dato vita ad una vera e propria levata di scudi in alcuni settori dell’informazione. Per capire quanto sta accadendo basta in effetti citare il quotidiano Repubblica, che commenta in questo modo l’evento: “Un assolto potrà chiamare Repubblica e chiedere di non rendere più rintracciabile il suo nome perché è stato assolto. Chiederà di derubricarlo. Il risultato è che scomparirà dal web. Gli si dovrà – per legge – dire di sì.”

Ma è realmente così grave il misfatto perpetrato dal Parlamento, tanto da spingere i contrari ad agitare lo spettro della censura? Per rispondere in maniera esauriente è il caso di ricordare quanto effettivamente disposto dalla norma incriminata, che recita in tal modo: “L’imputato destinatario di una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere e la persona sottoposta alle indagini destinataria di un provvedimento di archiviazione possono richiedere che sia preclusa l’indicizzazione o che sia disposta la deindicizzazione, sulla rete Internet, dei dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento, ai sensi e nei limiti dell’articolo 17 del regolamento del Parlamento europeo del 27 aprile 2016.”

Insomma, sembra tutto abbastanza chiaro: se si risulta innocenti si ha diritto a non essere oggetto di gogna sul web, ove spesso il bullismo viene esercitato rifugiandosi dietro un semplice nickname. Una norma del tutto legittima la quale però, a quanto sembra, in alcuni ambienti dell’informazione nostrana, gli stessi che mettono i titoli sulle vicende giudiziarie con bella evidenza in prima pagina, confinando al contempo le eventuali assoluzioni in modo da impedirne lo stesso risalto, non è evidentemente valutata come tale.

Per una volta, ci sentiamo perciò di condividere le parole rilasciate da Costa in qualità di commento sul suo emendamento: “Lo Stato deve essere messo in condizione di indagare e chiamare a rispondere le persone, ma deve anche garantire, se le persone risultano innocenti e sono state assolte, che possano tornare nella società con la stessa immagine e la stessa reputazione, senza che rimanga una cicatrice indelebile.”

Lo stesso Costa ha poi voluto ulteriormente precisare la ratio cui risponde il proprio emendamento: per effetto della sua applicazione, i motori di ricerca dovranno dissociare i nomi degli assolti dalle notizie che sono state diffuse online in relazione alle inchieste in cui è stata accertata la loro estraneità ai fatti contestati. In pratica non sarà necessario far scomparire le notizie, ma semplicemente fare in modo che i nomi degli assolti non riportino possibili danni dalla chiamata in causa da parte della giustizia.

L’ordinanza della Cassazione sul diritto alla cancellazione da Google

Occorre anche sottolineare come nel passato mese di novembre, la Corte di Cassazione avesse dato luogo ad una decisione proprio sul diritto all’oblio ritenuta estremamente importante. Con l’ordinanza numero 34658/2022, emanata il 24, era stato infatti affermato un importante principio di extraterritorialità per quanto riguarda gli ordini di deindicizzazione i quali sono stati emessi dalle autorità di garanzia della privacy nazionali.

In pratica, all’interno del provvedimento si afferma che è facoltà delle autorità di controllo, chiamate a svolgere un ruolo di bilanciamento fra il diritto alla riservatezza e quello alla diffusione della notizia nell’interesse del pubblico secondo gli standard di protezione dell’ordinamento italiano, inoltrare al gestore del motore di ricerca la richiesta di effettuare quello che viene indicato come global delisting.

Di cosa si tratta, in buona sostanza? In pratica, una volta che un garante della privacy ordini la deindicizzazione di un determinato contenuto, la rimozione degli URL riferibili all’interessato deve avere luogo in tutte le versioni di un motore di ricerca e non solo in quelle degli Stati Membri dell’Unione.

Se in queste ore da più parti si afferma che Google e company saranno costretti a rimuovere i contenuti relativi alle vicende terminate con una assoluzione da parte delle autorità giudiziarie, ben presto il tema del diritto all’oblio potrebbe porsi a livello globale, proprio per effetto di questa sentenza della Corte di Cassazione. Una pratica dimostrazione di come non si tratti di un attacco alla libertà di stampa, come asserito in queste ore da alcuni organi di stampa, ma di un diritto legato alla necessità di preservare la propria reputazione per ogni individuo. Nell’epoca dei diritti sociali sembra abbastanza strano che alcuni facciano finta di dimenticarsene.

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