Da oggi, 1 luglio 2021, il Cashback di Stato è ufficialmente sospeso e, secondo fonti di Palazzo Chigi, la decisione del Governo guidato da Mario Draghi sarebbe da ricondurre alla natura costosa e regressiva della misura.

Premesso che lo stop al Cashback di Stato non è definitivo, essendo il suo ritorno previsto per il primo semestre del prossimo anno con qualche modifica, vediamo i motivi che hanno portato al congelamento attuale.

Cashback di Stato: pochi vantaggi

Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, sarebbe intervenuto in Consiglio dei Ministri e avrebbe spiegato la sospensione del Cashback di Stato a partire da oggi, 1 luglio 2021, in questi termini: «Il cashback ha un carattere regressivo ed è destinato ad indirizzare le risorse verso le categorie e le aree del Paese in condizioni economiche migliori».

Secondo il presidente del Consiglio, la misura rischia di favorire le famiglie più ricche, accentuando la sperequazione tra i redditi e generando un effetto moltiplicativo sul Pil tutt’altro che convincente, a fronte dei costi elevati della misura.

Questo perché la maggior concentrazione di mezzi di pagamento alternativi al contante si registra tra gli abitandi del Nord e, più in generale tra quelli delle città più grandi, con un capofamiglia di età inferiore a 65 anni, un reddito medio-alto e una condizione diversa da quella di operaio o disoccupato. Sarebbero queste, secondo il capo del Governo, le categorie maggiormente favorite dal Cashback e da bonus e superbonus collegati, sebbene, va detto, sul punto non esistano al momento dei dati specifici.

Le stesse fonti di Palazzo Chigi riferiscono che Draghi avrebbe altresì posto l’accento sull’inesistenza di alcuna obiettiva evidenza della maggiore propensione all’utilizzo dei pagamenti elettronici da parte degli aderenti al programma del Cashback di Stato. Questo perché, dal momento che il 73% circa delle famiglie italiane già spende servendosi delle carde oltre il plafond previsto dalla misura, potrebbe tranquillamente ottenere il massimo previsto dal Cashback di Stato anche senza essere in alcun modo incentivato dallo stesso nella scelta di mezzi alternativi al contante.

Allo stesso modo, per quanto riguarda i redditi più bassi, sarebbe stata sottolineata l’improbabilità che coloro che sono privi di carte o che precedentemente ne facessero uso per un ammontare inferiore al plafond previsto possano raggiungerlo in concreto. Questo perché la maggior parte di loro non avrebbe la possibilità di spendere le cifre necessarie. Facendo una media, si riporta, le famiglie del quinto più povero dovrebbero aumentare la propria spesa con carte et similia di quasi il 40%, laddove quelle più abbienti solo dell’1 per cento.

Ciò sarebbe comprovato dal fatto che le transazioni che hanno raggiunto l’obiettivo previsto per l’erogazione del rimborso (50 transazioni nel semestre) rappresentano appena il 50% delle transazioni totali rilevate; inoltre, il 40% circa dei beneficiari ha comunque effettuato un numero di transazioni tale da far ritenere che si tratti di persone già abituate all’uso della moneta elettronica.

Costi elevati

Se, come si è visto, i vantaggi portati dal Cashback di Stato sotto il profilo dell’incentivazione di mezzi di pagamento alternativi al contante sarebbero stati inferiori alle aspettative, dall’altra parte, a far propendere per la sospensione sarebbero stati i costi elevati comunque generati dalla misura.

Draghi, secondo le stesse fonti, avrebbe parlato di una misura molto onerosa, quantificandone i costi in 4,75 miliardi di euro. Questo dato va valutato in relazione ai benefici attesi del Cashback, ma anche dell’attuale quadro economico e sociale, che ha visto – nel 2020 – 335 mila nuovi nuclei familiari e oltre 1 milione di persone in più entrare in povertà assoluta (dati Istat).

In conclusione, Draghi avrebbe parlato di una misura dagli effetti regressivi e dalle criticità applicative, della quale al momento non posso stimarsi effetti significativi sul gettito. Di contro, si ritiene probabile una crescita delle transazioni elettroniche per effetto del Cashback di Stato soprattutto in settori già a bassa evasione fiscale, come la grande distribuzione organizzata che, secondo l’Istat, assorbe quasi la metà della spesa al dettaglio, invece che in quelli con maggiori criticità.

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