C’è qualcosa di rassicurante nella rapidità con cui ChatGPT completa una frase, suggerisce un’introduzione, argomenta una tesi. Ma cosa accade nella nostra mente quando lasciamo che sia un’intelligenza artificiale a pensare al posto nostro?

Un recente studio condotto dal MIT Media Lab ha coinvolto tre gruppi di studenti universitari impegnati in un compito classico: scrivere un saggio. Il primo si è affidato solo alla propria mente, il secondo ha utilizzato un motore di ricerca, il terzo ha avuto accesso a un LLM, un modello linguistico di grandi dimensioni, come ChatGPT.

I risultati sono stati sorprendenti: chi ha scritto con l’ausilio dell’AI ha mostrato una minore attivazione neurale, una più debole capacità di richiamare concetti appena espressi e, soprattutto, un basso senso di “proprietà” rispetto al testo prodotto. È la dimostrazione che l’intelligenza artificiale non è solo uno strumento: è una tecnologia trasformativa. Non ci aiuta soltanto a lavorare, ma modella il modo in cui pensiamo, impariamo, decidiamo. Ed è qui che entra in gioco l’etica, non come ornamento teorico, ma come necessità civile e culturale.

Ogni volta che deleghiamo a un algoritmo la risoluzione di un problema o la formulazione di un’idea, rischiamo di indebolire il pensiero critico, favorendo quella che i ricercatori definiscono debito cognitivo: un uso passivo e continuativo dei modelli generativi che, nel tempo, ci rende meno capaci di pensare da soli.

Usare ChatGPT può ridurre il pensiero critico? L'Etica dell’AI è una questione urgente per tutti 1

Lungi dall’essere una condanna, questa consapevolezza può diventare il primo passo verso una coabitazione più responsabile con l’AI. Non si tratta di rifiutarla, ma di negoziare il margine di autonomia che vogliamo conservare come individui e come società. Il vero rischio non è che l’AI prenda decisioni sbagliate. Il vero rischio è che smettiamo di prenderle noi.

L’etica dell’intelligenza artificiale non è più un affare per filosofi o giuristi, ma un’urgenza concreta per cittadini, imprese, istituzioni. A ricordarcelo è anche l’AI Act, il regolamento approvato dal Parlamento europeo nel 2024, che introduce una classificazione per livelli di rischio e impone obblighi di trasparenza, sicurezza e supervisione umana nei sistemi ad alto impatto sociale.

Ma nessuna norma può bastare, se non è accompagnata da una cultura pubblica della responsabilità algoritmica. L’intelligenza artificiale, infatti, non è neutrale: è costruita su dati storici che spesso riflettono disuguaglianze passate; apprende per correlazioni statistiche, non per valori morali. È progettata per ottimizzare risultati, non per garantire giustizia. Ecco perché l’etica è indispensabile: non per frenare l’innovazione, ma per orientarla verso princìpi condivisi di equità, trasparenza e dignità.

In questa rubrica proveremo a raccontare, settimana dopo settimana, come l’AI sta cambiando la società e come possiamo imparare a cambiarla a nostra volta. Perché se l’algoritmo è una nuova forma di potere, l’etica è la sua grammatica.

AI, etica e futuro digitale: una rubrica di Giovanni Di Trapani

L’intelligenza artificiale è ormai ovunque: nei motori di ricerca, nei social, nei software che usiamo per lavorare, curarci, decidere. Ma siamo davvero pronti a convivere con algoritmi che imparano, decidono, ci osservano?

Questa rubrica nasce per esplorare, con uno sguardo critico e accessibile, le sfide etiche e sociali dell’AI: dalle discriminazioni nei dati al lavoro che cambia, dalla creatività generativa alla privacy, fino al ruolo dell’umano in un mondo sempre più automatizzato.
Ogni settimana, un breve approfondimento per capire meglio cosa c’è dietro la tecnologia che ci cambia. E per iniziare a domandarci, tutti: dove vogliamo andare?

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Giovanni Di Trapani, ricercatore del CNR, economista, statitstico ed autore. Si occupa di innovazione, governance pubblica e futuro digitale. Gestisce il sito Calino.net, AIgnosi.it ed è autore del volume Nella scia della Calino: memorie del Silenzio (Guida Editore).