Non tutti sanno che nel prezzo che l’utente finale paga per un dispositivo elettronico, smartphone, PC e tablet compresi, c’è anche una quota che viene versata alla SIAE. È la cosiddetta Copia Privata, il cui compenso è oggi oggetto di un aggiornamento che potrebbe aumentare ulteriormente rispetto all’ultima rimodulazione del 2020. La questione, ora sul tavolo del Ministro della Cultura Alessandro Giuli che dovrà firmare il decreto con il quale rendere operative le nuove tariffe. Tariffe che, oltre a ed essere ancora più alte, risultano ormai obsolete. Anche perché a essere “tassato” potrebbero essere anche i servizi di cloud storage.
Cos’è il sistema della copia privata
La copia privata è un diritto teorico, nato per permettere agli utenti di duplicare per uso personale opere protette da diritto d’autore. Il principio è quello per cui acquistando un’opera tutelata l’utente che ne effettua una copia (per uso personale, non per atti di pirateria) deve pagare un contributo. Quindi nel prezzo dello smartphone c’è anche una quota destinata all’eventualità che utilizziamo la memoria interna per salvare copie di brani musicali o video che abbiamo acquistato legalmente.
In pratica, però, la sua applicazione si traduce da anni in un prelievo automatico sul prezzo di vendita di dispositivi come smartphone, computer, chiavette USB, schede di memoria, hard disk e altri supporti digitali. Questo compenso, che viene incassato dalla SIAE e ridistribuito a diversi di soggetti aventi diritto, vale ogni anno tra i 120 e i 130 milioni di euro, arrivando in alcuni casi fino a 150 milioni. Tutto questo, nonostante la maggior parte dei cittadini non abbia consapevolezza di pagare questa imposta nascosta né abbia modo o interesse reale ad esercitare il diritto per cui la versa.
Il compenso della copia privata – che è a carico di chi fabbrica e importa gli apparecchi – nella realtà viene pagato dal consumatore finale che quando acquista il dispositivo ha questo ricarico. Tra l’altro alcuni produttori, come Apple, lo indicano chiaramente che il prezzo è comprensivo (riferendo la quota) del compenso per la copia privata.
Senza considerare che questo compenso è anche oggetto di IVA, così che ogni consumatore paga di più su ogni dispositivo digitale acquistato, anche se lo utilizzerà per scopi estranei alla copia di contenuti protetti.
Come potrebbero cambiare le tariffe
Il nuovo tariffario, messo a punto dal Comitato Consultivo per il Diritto d’Autore prevede aumenti generalizzati su tutti i dispositivi digitali, con rincari significativi soprattutto per gli smartphone. Questo un elenco dei possibili rincari delle nuove tariffe:
- CD registrabile: 0,06€ per 700 MB — +20%
- DVD registrabile: 0,12€ per 4,7 GB — +20%
- Blu-Ray registrabile: 0,12€ per 25 GB — +20%
- Registratori e masterizzatori: 5% del prezzo
- Apparecchi polifunzionali con registrazione: 5% del prezzo di un prodotto equivalente
- TV e decoder con funzione PVR: 4,67€ — +16,8%
- Schede di memoria oltre 32 GB: massimo 5,26€ — +16,9%
- Chiavette USB oltre 32 GB: massimo 8,76€ — +16,8%
- Hard disk e SSD oltre 2 TB: massimo 21,02€ — +16,8%
- Apparecchi AV portatili con memoria oltre 400 GB: 33,85€ — +12,9%
- Lettori MP3 o simili oltre 20 GB: 11,28€ — +16,8%
- Hard disk esterni AV oltre 3 TB: 15,04€ — +16,8%
- Hard disk integrati in decoder/TV oltre 3 TB: 18,8€ — +16,8%
- Smartphone oltre 2 TB: 9,69€ — +40,4%
- Computer: 6,07€ — +16,7%
- Smartwatch e wearable oltre 32 GB: 6,54€ — +16,8%
- Cloud storage oltre 500 GB: fino a 2,40€ al mese per utente — nuova voce 2025
- Altri dispositivi digitali oltre 400 GB: 18,8€ — +16,8%
L’aumento più rilevante riguarda gli smartphone, che registrano un incremento fino al 40% rispetto alle tariffe attuali. Questo è l’effetto della modifica delle fasce di memoria che determinano l’ammontare del compenso. Se fino al 2020 il contributo massimo si applicava a partire dai modelli con 128 GB di memoria, con la nuova proposta quel tetto viene spostato a 2 TB. Con le nuove tariffe su uno smartphone da 128 GB si pagherà 7,36€, mentre un modello da 512 GB salirà a 8,64€ e uno da 1 TB arriverà a 9,11€. Un cambiamento che rende il compenso molto più incisivo rispetto al passato, oltretutto proprio sui modelli più venduti.
Tra le novità di questo nuovo tariffario c’è anche l’introduzione dello spazio di archiviazione in cloud, un’ipotesi che apre scenari inediti. Per la prima volta, infatti, lo storage online entra nel perimetro della copia privata. Le nuove tariffe prevedono un micro-prelievo mensile per gigabyte, con un tetto massimo di 2,4€ al mese per utente. Sulla carta può sembrare poco. In realtà, considerando i milioni di account Gmail, iCloud, Dropbox, OneDrive e AWS attivi in Italia, il potenziale di raccolta è enorme. Inoltre, una volta introdotto il principio che il cloud è soggetto al compenso, sarà possibile rivedere le tariffe in futuro, magari con incrementi minimi, ma sufficienti a moltiplicare le entrate senza bisogno di nuove autorizzazioni.
La discussione sulle criticità di un sistema ormai obsoleto
La questione è oggetto di particolari aspetti controversi. Oltre all’aspetto prettamente economico c’è il fatto che dal punto di vista tecnico è difficile identificare con certezza quali dati siano copiati nel cloud per uso privato e quali siano semplicemente backup o trasferimenti automatici. Dal punto di vista giuridico, non è chiaro chi dovrebbe essere considerato il responsabile del pagamento, visto che i server spesso risiedono fuori dai confini italiani. E non va sottovalutato il fatto che molti servizi cloud gratuiti, una volta sottoposti a questo prelievo, potrebbero non essere più sostenibili a costo zero.
Il problema vero, però, sta nell’ovvietà che oggi quasi nessuno effettua più copie private nel senso classico del termine. L’uso dello streaming ha reso infatti obsoleto questo tipo di pratica. La questione, come detto, non è solo economica, ma anche giuridica e teorica. C’è chi si interroga sulla liceità di autorizzare un trasferimento diretto, indefinito e non preventivamente quantificabile di denaro privato dalle tasche dei cittadini verso soggetti terzi, senza limiti fissati dalla legge e senza alcuna correlazione tra uso e pagamento.
La principale critica al sistema dei compensi per copia privata è che nella forma attuale appare sempre più come una tassa che colpisce in modo indiscriminato i cittadini, anche quelli che non fruiscono in alcun modo del diritto a cui il compenso è collegato. Un problema che più che di natura economica solleva interrogativi sul ruolo della politica come garante dei cittadini e sui rapporti tra la Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE) e l’organismo, il Ministero della Cultura, che è chiamato a controllare e vigilare le sue attività.
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