Una vicenda dai contorni fortemente politici e potenzialmente dirompente sul piano tecnologico e legale sta scuotendo gli Stati Uniti, l’amministrazione Trump ha rimosso Shira Perlmutter, responsabile del Registro dei Diritti d’Autore e capo del Copyright Office statunitense, a soli due giorni di distanza dalla pubblicazione di un controverso rapporto sull’uso delle opere coperte da copyright per l’addestramento dei modelli di intelligenza artificiale.
Il caso sta rapidamente attirando l’attenzione non solo degli addetti ai lavori, ma anche di chi si occupa di IA generativa, copyright digitale e, più in generale, delle implicazioni tra innovazione tecnologica e normativa vigente.
Un rapporto sul copyright che non piace all’amministrazione Trump (e non solo)
Tutto ha avuto inizio con la diffusione preliminare di un documento ufficiale del Copyright Office incentrato sul delicato tema del fair use, cioè l’utilizzo consentito di contenuti protetti dal diritto d’autore nel contesto dell’addestramento dei modelli di intelligenza artificiale.
Nel rapporto (113 pagine) l’ufficio ha sottolineato che, sebbene in alcuni ambiti come la ricerca accademica l’uso possa rientrare nel fair use, l’utilizzo su larga scala di contenuti protetti da copyright per finalità commerciali rischia di eccedere i limiti previsti dalla legge.
Il documento sottolinea che “dipenderà da quali opere sono state utilizzate, da quale fonte, per quale scopo e con quali controlli sui risultati“, ma la valutazione più severa arriva per i modelli IA che generano contenuti espressivi in concorrenza con gli originali; in questi casi, si legge, l’utilizzo dei dati protetti appare difficilmente compatibile con le attuali eccezioni del fair use, soprattutto se l’uso avviene senza autorizzazione.
Il tempismo del licenziamento ha inevitabilmente acceso i riflettori sulla questione, due giorni dopo la pubblicazione del rapporto Perlmutter è stata sollevata dall’incarico senza motivazioni ufficiali. Il deputato democratico Joe Morelle ha parlato apertamente di “accaparramento di potere senza precedenti“, sostenendo che la rimozione sia direttamente collegata alla mancata benedizione dell’utilizzo indiscriminato di contenuti protetti da parte di alcune big tech, con un riferimento neppure troppo velato a Elon Musk e alle sue attività nel campo dell’IA.
Nel frattempo, anche Blake Reid, professore di diritto dell’Università del Colorado, ha definito il rapporto “una perdita netta per le aziende di intelligenza artificiale“, ipotizzando che una purga all’interno dell’Ufficio Copyright fosse imminente, quasi preannunciata dalla pubblicazione del documento stesso.
Di parere opposto Meredith Rose, esperta di diritto d’autore che ha ridimensionato il valore del rapporto etichettandolo come “113 pagine di ‘dipende‘”, trovando improbabile che possa aver scatenato una reazione così estrema; eppure, il silenzio della Casa Bianca e la coincidenza temporale dei licenziamenti (Perlmutter non è stata l’unica) continuano a sollevare interrogativi legittimi.
A complicare ulteriormente il quadro nello stesso giorno è arrivata la notizia del licenziamento di Carla Hayden, Bibliotecaria del Congresso e quindi figura gerarchicamente superiore a Perlmutter; la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt ha giustificato l’accaduto con generiche accuse legate alla promozione della DEI (Diversity, Equity and Inclusion) e alla presunta diffusione di contenuti inappropriati nelle biblioteche per bambini.
Non è un dettaglio da poco, ogni libro pubblicato negli Stati Uniti viene archiviato proprio presso la Biblioteca del congresso, e quindi la rimozione di Hayden potrebbe avere un impatto diretto anche sulla gestione del copyright a livello nazionale.
Nel frattempo, il presidente Donald Trump ha rilanciato su Truth Social un commento di Mike Davis, ex assistente legale del giudica Gorsuch, secondo cui “ora i colossi della tecnologia tenteranno di rubare i diritti d’autore dei creatori per ricavare profitti dall’intelligenza artificiale“, definendo tutto ciò inaccettabile; un messaggio che lascia intendere come, secondo questa visione, la protezione degli autori debba essere rafforzata, anche a costo di intervenire sulle agenzie federali responsabili delle interpretazioni legali.
Al netto delle polemiche politiche, la vicenda rischia di avere conseguenze concrete anche sul piano pratico, se le posizioni del Copyright Office venissero rimesse in discussione le aziende tech potrebbero trovarsi con meno vincoli nell’utilizzo di materiale protetto, ma anche con più incertezza legale in attesa che siano i tribunali a pronunciarsi definitivamente.
Come sempre in questi casi, bisognerà attendere per scoprire quali saranno gli aspetti concreti di questa svolta, il timore per molti è che la rimozione dei vertici tecnici e bibliotecari possa essere solo l’inizio di un più ampio riassetto in chiave ideologica degli organi che regolano il copyright e il diritto d’autore in America.
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