La geopolitica non sembra risparmiare neanche il mondo delle app di messaggistica. Dopo le accuse rivolte a Telegram da Will Cathcart, CEO di WhatsApp, adombrando l’ipotesi che l’azienda concorrente faccia il lavoro sporco per Mosca, le quali fanno seguito ad un articolo pubblicato da Wired, l’entourage di Pavel Durov ha deciso di rispondere a stretto giro di posta. Andiamo quindi a vedere cosa sta accadendo in queste ore.

L’articolo di Wired e l’attacco di Will Cathcart

La battaglia è divampata quando il responsabile di Whatsapp ha rilanciato su Twitter le conclusioni di un articolo che è stato pubblicato su Wired, rivolgendosi direttamente a coloro che hanno deciso di affidarsi a Telegram, ritenendone più adeguati gli standard di sicurezza e privacy.

Il punto da cui è partito è la constatazione che l’app concorrente non offre la crittografia end-to-end a tutti i gruppi, bensì soltanto alle chat riservate. Oltre a non utilizzarla come impostazione pre-definita, Telegram ha la possibilità di condividere le informazioni ricevute durante l’attività degli utenti con i governi, ove questi le richiedano.

Già in passato Telegram aveva risposto per le rime. Gli era bastato ricordare che nel caso un utente di Whatsapp utilizzi il backup in Google Drive, l’azienda ha facoltà di entrare nei messaggi. E con lei anche i governi che siano interessati a leggerli. Ciò non ha impedito però a Cathcart di procedere con un’accusa che in un momento come questo, con il conflitto in Ucraina che continua a preoccupare l’opinione pubblica globale, rischia di essere infamante: Telegram manca assolutamente di trasparenza rispetto ad altre aziende tecnologiche. Di conseguenza nulla impedisce di pensare che possa fare da spyware o informare per il Cremlino. Infine, il CEO di Whatsapp aggiunge un’ultima stilettata ancora più grave: dall’inizio della guerra Telegram avrebbe messo in pericolo la vita di un gran numero di persone.

La risposta di Telegram a Wired e Cathcart

Le accuse di Cathcart erano quindi troppo gravi e non potevano certo cadere nel vuoto. Infatti Telegram ha impiegato lo stretto necessario per approntare una risposta, articolata su una lunga serie di punti dell’articolo su Wired che vanno ad inficiare gravemente le affermazioni in questione.

Lo ha fatto con un comunicato in cui afferma, in particolare che Wired si sarebbe allontanato volutamente dai principi dell’integrità giornalistica. Per sostanziare questa durissima accusa ha pubblicato uno scritto in cui erano presenti non meno di 15 errori ed omissioni di rilievo. Aggiungendo un’altra bordata di non poco conto: i suoi responsabili avrebbero deciso di pubblicare le risposte di Telegram per 3 sole questioni, sulle oltre 30 inviate dall’azienda di Pavel Durov.

Al momento, peraltro, l’elenco in questione è in via di aggiornamento, includendo alcuni punti di grande rilievo come i seguenti:

  • Marina Matsapulina, contrariamente a quanto affermato nell’articolo di Wired, non è stata fermata dalla polizia russa grazie a Telegram, bensì per l’utilizzo incauto del telefono cellulare, una tesi del resto avanzata anche da esperti indipendenti;
  • secondo l’articolo sarebbe possibile risalire alla posizione di un utente Telegram grazie all’API dell’app che abbia attivato la funzione. In realtà, soltanto quelli che hanno scelto di attivare la funzione nella pagina dedicata a rintracciare persone nelle proprie vicinanze potrebbero renderlo possibile. A farlo, però, è soltanto l’0,01% del totale;
  • sempre da parte di Wired si avanza l’allusione ad un importante ruolo giocato dalla banca russa VTB nella raccolta di fondi organizzata da Telegram nel corso del 2020. In realtà, tale ruolo sarebbe stato non significativo e, peraltro, gli investitori russi hanno acquistato una parte molto minoritaria delle obbligazioni messe in quell’occasione. A differenza del gigante statunitense JPMorgan, che ha rivestito il ruolo più importante nell’ambito della vicenda. Inoltre è falso che Telegram abbia ingaggiato VTB per stimare il suo valore;
  • le obbligazioni in questione non sono state acquistate dai governi di Arabia Saudita e Russia. In particolare l’attivazione delle procedure KYC (Know Your Customer) da parte di Telegram ha impedito l’ingresso di capitale statale russo nell’azienda;
  • Roman Abramovich, ex proprietario del Chelsea, non ha investito 300 milioni di dollari in TON. Tale investimento era già stato smentito nel passato nell’ambito di una causa intentata dalla Securities and Exchange Commission (SEC) degli Stati Uniti. In realtà tale investimento ammonterebbe a 10 milioni di dollari, pari a meno dell’1% di fondi raccolti da TON.

Questi sono soltanto alcuni dei più marchiani errori contenuti nell’articolo pubblicato e rilanciato da Cathcart, sul quale Wired avrebbe dovuto perlomeno attivare una sorveglianza ancora più rigida, considerato l’ambito in cui tali accuse sono andate ad inserirsi. Un atteggiamento che viene stigmatizzato ora con forza da Telegram.

Whatsapp e Telegram: la battaglia è in atto da tempo

Il nuovo capito della querelle tra Whatsapp e Telegram non dovrebbe stupire eccessivamente. Le due aziende ormai da tempo hanno deciso di incrociare i ferri non risparmiandosi fendenti di non poco conto. Un conflitto dovuto con tutta evidenza a ragioni puramente commerciali, in cui vanno ad entrare anche considerazioni di geopolitica agitate in maniera del tutto strumentale.

Nel mese di ottobre, ad esempio, Pavel Durvo aveva attaccato la rivale in un post pubblicato sul suo canale ufficiale di Telegram. All’interno del suo messaggio aveva palesemente messo in guardia i suoi utenti dall’utilizzo di Whatsapp, In particolare, secondo il numero uno di Telegram gli hacker potrebbero entrare facilmente in possesso dei dati che sono memorizzati sugli smartphone che montano l’app avversaria. A motivare il suo attacco una falla nella sicurezza ammessa dalla stessa Whatsapp, grazie alla quale gli attaccanti erano in grado di controllare il dispositivo ed eseguire malware sfruttando come strumenti video dannosi o videochiamate ad hoc.

L’aggiornamento effettuato, che secondo l’azienda statunitense doveva essere risolutivo, a detta di Durov non lo sarebbe però in maniera assoluta. Il problema, infatti, si propone ciclicamente dal 2016 e non è mai stato realmente risolto. Lo stesso Durov ha poi aggiunto: “Non importa se sei la persona più ricca della terra: se hai Whatsapp installato sul tuo telefono, tutti i tuoi dati da ogni app sul tuo dispositivo sono accessibili, come ha scoperto Jeff Bezos nel 2020. Ecco perché ho eliminato Whatsapp dai miei dispositivi anni fa. Averlo installato crea una porta che permette di entrare nel tuo telefono.”

Infine la stoccata finale, con l’invito a stare lontani dall’app avversaria, bollata come uno strumento di controllo di massa ormai attivo da 13 anni. Alla luce di queste parole, non dovrebbe stupire l’attacco di Cathcart, bensì l’imprecisione con cui è stato effettivamente condotto.

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