Il 16 marzo 2024 il Dipartimento di Giustizia statunitense (DOJ) insieme ad altri 16 procuratori generali ha intentato una causa nei confronti di Apple con l’accusa di monopolio illegale sul mercato degli smartphone. A seguito della mozione di Apple per archiviare il procedimento, il giudice federale Julien Neals ha respinto la richiesta, consentendo la prosecuzione della causa antitrust.

Le accuse del DOJ ad Apple

Ricordiamo che al centro della questione ci sono le presunte pratiche anticoncorrenziali che Apple avrebbe messo in atto per ostacolare la crescita di servizi, app e dispositivi della concorrenza. Secondo il Dipartimento di Giustizia, infatti, il colosso di Cupertino avrebbe deliberatamente progettato il proprio ecosistema per scoraggiare i consumatori a passare ad altre piattaforme, imponendo allo stesso tempo limitazioni tecniche e contrattuali a sviluppatori e produttori terzi. Tra le criticità individuate figurano i blocchi alle cosiddette “super app”, le restrizioni ai servizi di cloud gaming, l’incompatibilità di iMessage con Android, le limitazioni imposte agli smartwatch di terze parti e il mancato accesso all’hardware NFC degli iPhone da parte di sistemi di pagamento concorrenti.

La risposta di Apple

Dopo la decisione del giudice di respingere la richiesta di archiviazione, Apple ha respinto tutte le accuse. In una nota l’azienda si è detta convinta che la causa sia infondata sia nei fatti sia nel diritto, promettendo di combatterla con decisione. Secondo Apple, le restrizioni contestate sono in realtà necessarie a garantire la sicurezza, la privacy e l’integrità della piattaforma. In un commento ufficiale, il portavoce Fred Sainz ha affermato che un eventuale esito favorevole alla causa costituirebbe un pericoloso precedente, perché darebbe al governo il potere di influenzare il modo in cui viene progettata la tecnologia.

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Le implicazioni e le possibili conseguenze

Le dichiarazioni del portavoce Fred Sainz, sebbene rappresentino comprensibilmente gli interessi dell’azienda, pongono l’accento su un tema più ampio. A essere interessate all’esito di questa vicenda, infatti, non c’è solo Apple, ma tutti i colossi tecnologici, in quanto il caso potrebbe condizionare il modo in cui le autorità di tutto il mondo vogliono (o non vogliono) controllare il potere delle aziende tech. A conferma di una vicenda che va ben oltre le azioni di Apple c’è il fatto che accanto al DOJ ci sono anche 16 procuratori generali di diversi Stati americani, a dimostrazione della portata nazionale di un’indagine che punta a contrastare quella che viene descritta come una strategia sistematica messa in atto per mantenere un dominio quasi assoluto sul mercato degli smartphone.

La vicenda si inserisce in un contesto globale in cui i grandi gruppi tecnologici sono sempre più sottoposti al vaglio delle autorità. Anche l’Unione Europea, attraverso il Digital Markets Act entrato in vigore a inizio 2024, ha avviato un’azione regolatoria simile, costringendo Apple ad aprire alcune delle sue funzionalità più protette, come l’accesso al chip NFC. Sempre negli Stati Uniti Meta è in attesa di una sentenza che potrebbe costringerla a revocare le acquisizioni di WhatsApp e Instagram, mentre Google è coinvolta in due cause antitrust, una relativa alla posizione dominante nella ricerca e l’altra al suo business nel settore della pubblicità online.

È evidente che le autorità, da Washington a Bruxelles, stanno tentando di riequilibrare il rapporto di forza con le big tech. Quella contro Apple si preannuncia una delle battaglie legali più delicate degli ultimi anni. Il suo esito potrebbe ridefinire profondamente le regole nel settore tecnologico, incidendo non solo sul futuro di iPhone, ma sull’intero modo in cui gli ecosistemi digitali verranno progettati, regolati e vissuti.

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