Una vittoria importante ma non definitiva, così si potrebbe riassumere l’esito della causa che ha visto Meta accusata di aver utilizzato materiale protetto da copyright per l’addestramento dei propri modelli di intelligenza artificiale generativa. Il giudice federale Vince Chhabria ha infatti concesso all’azienda un giudizio sommario favorevole rigettando le accuse mosse da 13 autori, ma ha anche precisato che la questione del fair use non è affatto chiusa.
Vediamo cosa è successo, perché conta anche in ottica futura e cosa potrebbe accadere nei prossimi mesi nel complesso e delicato rapporto tra copyright e intelligenza artificiale.
Meta non ha violato il copyright, ma la questione non è chiusa
Secondo i querelanti, Meta avrebbe addestrati i propri LLM (Large Language Models) copiando illegalmente le proprie opere letterarie,senza alcuna autorizzazione; tuttavia, il giudice Chhabria ha accolto la tesi difensiva dell’azienda, affermando che:
Meta ha diritto a un giudizio sommario sulla sua difesa di fair use in relazione all’affermazione secondo cui la copia dei libri dei querelanti per l’utilizzo come dati di formazione costituirebbe una violazione.
In altre parole, la documentazione fornita dagli autori non è risultata sufficiente a dimostrare che l’addestramento dei modelli Llama di Meta costituisse una violazione del copyright; due delle argomentazioni principali, la possibilità per l’IA di riprodurre parti significative dei testi e la presunta compromissione del mercato delle licenze per l’addestramento IA, sono state bollate dal giudice come chiaramente perdenti.
Eppure, il messaggio della corte è chiaro: non si tratta di un’approvazione piena del comportamento di Meta, né tantomeno di un lasciapassare per chiunque operi nel campo dell’IA.
L’aspetto più rilevante della sentenza, a ben vedere, non è tanto la vittoria legale di Meta, quanto le riserve espresse dallo stesso giudice sul concetto di fair use applicato all’intelligenza artificiale; Chhabria ha infatti specificato che:
Questa sentenza non sostiene la tesi secondo cui l’uso da parte di Meta di materiali protetti da copyright per addestrare i suoi modelli linguistici sia lecito. Si limita a sostenere che questi querelanti hanno avanzato argomentazioni sbagliate e non sono riusciti a produrre prove a sostegno di quelle corrette.
Il problema principale quindi, è che i querelanti non sono riusciti a presentare argomentazioni e prove sufficientemente solide per dimostrare il contrario; il tema resta aperto e questo vale tanto per Meta, quanto per le altre aziende che operano nel settore coinvolte in situazioni simili.
Un concetto ribadito anche nel confronto con una sentenza parallela, emessa solo un giorno prima, quella che ha visto protagonista Anthropic, azienda anch’essa impegnata nell’addestramento di IA su testi letterari; in quel caso il giudice ha ritenuto lecito l’uso di libri acquistati legalmente come dati di training, ma ha ignorato le possibili conseguenze sul mercato editoriale, secondo Chhabria.
La questione, lo abbiamo visto più volte negli ultimi mesi, è tutt’altro che banale, possono le opere protette da copyright essere utilizzate per addestrare intelligenze artificiali, senza consenso degli autori o dei titolari dei diritti? Se sì, entro quali limiti? Il fair use, concetto giuridico centrale nel diritto d’autre statunitense, può davvero applicarsi in modo esteso all’addestramento dell’IA?
Questa sentenza suggerisce che la risposta non è ancora scritta, anzi, sembra quasi che si stia costruendo caso per caso, giudice per giudice, in attesa forse di un intervento legislativo più strutturato.
Nel frattempo, aziende come Meta continuano a camminare sul filo, tra la necessità di reperire enormi quantità di dati per migliorare i propri modelli e la pressione crescente da parte di autori, editori e organizzazioni per la tutela dei diritti.
La recente sentenza potrebbe rappresentare un precedente utile per difendere il fair use, ma non una garanzia assoluta; e con l’avanzare dell’IA generativa nei settori dell’editoria, della creatività e della comunicazione, è probabile che le tensioni tra diritto d’autore e innovazione tecnologica si intensificheranno ulteriormente.
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