È creatività o mera statistica? Questa è la domanda che attraversa oggi il dibattito sull’intelligenza artificiale generativa. Quando un’immagine, un testo o una melodia nascono da un modello addestrato su miliardi di esempi, chi è davvero l’autore? E, soprattutto, possiamo ancora parlare di creatività quando il gesto creativo sembra distribuito tra dataset, algoritmi, prompt e post-produzione?

Nei precedenti articoli abbiamo visto come l’AI non sia una tecnologia neutra ma un attore sociale che influenza scelte e comportamenti. Lo stesso vale nel campo artistico: la generazione automatica non è un semplice strumento, ma un passaggio che riorganizza le logiche stesse della produzione culturale.

Negli ultimi anni, i sistemi generativi hanno compiuto progressi impressionanti: dalle GAN alle reti di diffusione, fino ai modelli multimodali capaci di passare dal testo all’immagine o dal suono al video. Le loro produzioni suscitano meraviglia per coerenza, stile e varietà. Ma se l’AI imita schemi già visti, la sua “creatività” non rischia di essere solo una rielaborazione statistica del già noto?

Come mostrato in Quando l’intelligenza artificiale discrimina: il problema invisibile degli algoritmi”, il problema non è soltanto tecnico. Così come i bias nei dati riflettono e amplificano disuguaglianze sociali, anche nella creatività il modello porta con sé i limiti e le distorsioni dei dataset di addestramento. La creatività generativa è, in fondo, una creatività derivata. Le teorie cognitive hanno spesso descritto l’atto creativo come combinazione di elementi pre-esistenti. Ma c’è una differenza tra la capacità umana di dare senso e intenzione a un’opera e l’output generato da un algoritmo che massimizza probabilità. Il rischio è quello che alcuni studiosi chiamano illusione di profondità: scambiare per creatività autentica ciò che è soltanto abilità di calcolo.

Eppure, la qualità dei risultati spinge a chiedersi se il confine tra imitazione e invenzione non stia diventando più sfumato. Un dipinto digitale generato “nel segno di Caravaggio” non è Caravaggio, ma può evocare una sensibilità artistica che, pur artificiale, è capace di emozionare.

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Il nodo del diritto d’autore o del modello?

Dall’estro umano all’algoritmo: i dilemmi dell’arte nell’era dell’intelligenza artificiale 4

Il terreno più delicato è quello del diritto. Chi detiene la proprietà intellettuale di un’opera creata da un modello? L’utente che ha scritto il prompt, lo sviluppatore del software, o nessuno dei due? Alcune corti hanno già negato la possibilità di riconoscere diritti d’autore a opere prive di contributo umano sostanziale.

Il paradosso è evidente: da un lato l’opera appare originale, dall’altro la sua origine è collettiva e anonima, frutto di miliardi di campioni inglobati nei dataset. La distinzione fra ispirazione e plagio diventa fragile: se un modello riproduce lo stile di un artista vivente, siamo di fronte a omaggio creativo o a concorrenza sleale? Non si tratta solo di giurisprudenza: è in gioco la definizione stessa di autore. Come già discusso in “Governare l’AI prima che ci governi: chi paga il prezzo degli errori algoritmici”, la questione della responsabilità si estende oltre il campo legale, toccando la sfera etica e culturale.

L’arte non è soltanto prodotto, ma anche gesto, biografia, contesto. Un quadro non è fatto solo di colori, ma del nome che lo firma e della storia che porta con sé. Nell’AI, l’autorialità si smaterializza: il creatore diventa curatore di algoritmi, selezionatore di prompt, editor di output. Questa trasformazione non è neutra.

Da un lato apre spazi inediti di sperimentazione, dall’altro rischia di produrre opere “perfette ma impersonali”. Il fascino dell’arte sta anche nell’imperfezione, nell’errore umano, nella deviazione dal canone. Una creatività puramente generativa rischia di appiattire queste dimensioni.

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Se tutti fanno arte, nessuno è più artista

Uno dei grandi argomenti a favore dell’AI generativa è la democratizzazione: chiunque può produrre illustrazioni, musiche o testi di qualità professionale. È un’occasione di inclusione, soprattutto per chi non ha accesso a strumenti costosi o a percorsi formativi specialistici.

Ma l’altra faccia della medaglia è l’omologazione. Se tutti usano gli stessi modelli, allenati sugli stessi dataset, non rischiamo di assistere a un’estetica standardizzata, a un immaginario ripetitivo? È lo stesso dilemma che in Robot AI in ufficio: alleati o rivali?” avevamo esplorato per il mondo del lavoro: collaborazione o sostituzione? Arricchimento collettivo o impoverimento di senso?

Verso un nuovo ecosistema creativo

Dall’estro umano all’algoritmo: i dilemmi dell’arte nell’era dell’intelligenza artificiale 5

Il futuro della creatività algoritmica non può limitarsi al binomio “autentico/falso”. Servono regole nuove, che ripensino il rapporto tra dati, modelli e autori. Si discute di licenze collettive per i dataset, di tracciabilità blockchain per attribuire contributi, di watermark invisibili per distinguere umano e artificiale.

Più che stabilire se l’AI sia “artista”, la sfida è costruire un ecosistema in cui l’innovazione non cancelli il riconoscimento e il valore del lavoro umano. Un sistema che bilanci libertà creativa, tutela dei diritti e trasparenza dei processi. Alla fine, la domanda resta aperta: l’arte generata dall’AI è un’imitazione sofisticata o una nuova forma di creatività? Forse entrambe le cose. Dipenderà da come sceglieremo di regolamentarla e soprattutto di valorizzarla culturalmente.

Come già emerso nei precedenti articoli della rubrica, dall’algoritmo che decide alle discriminazioni nei dati, dai dilemmi di responsabilità al lavoro che cambia, il cuore della questione non è tecnico ma umano. Anche nell’arte, l’intelligenza artificiale ci obbliga a ridefinire chi siamo e cosa intendiamo per creatività.

La prossima tappa di questa rubrica sarà dedicata a un ambito altrettanto delicato: la sanità digitale. Qui la questione non sarà più legata all’autorialità e al copyright, ma al rapporto diretto con la nostra salute. Potremo davvero affidarci a un algoritmo per diagnosticare una malattia, suggerire una terapia o decidere chi curare per primo in un pronto soccorso? Opportunità straordinarie e rischi profondi si intrecciano: dall’efficienza dei sistemi di triage automatizzati alle implicazioni etiche di un errore clinico. È in gioco non solo la tecnologia, ma la fiducia che riponiamo nell’intelligenza artificiale quando la posta in palio è la vita stessa.

AI, etica e futuro digitale: una rubrica di Giovanni Di Trapani

L’intelligenza artificiale è ormai ovunque: nei motori di ricerca, nei social, nei software che usiamo per lavorare, curarci, decidere. Ma siamo davvero pronti a convivere con algoritmi che imparano, decidono, ci osservano?

Questa rubrica nasce per esplorare, con uno sguardo critico e accessibile, le sfide etiche e sociali dell’AI: dalle discriminazioni nei dati al lavoro che cambia, dalla creatività generativa alla privacy, fino al ruolo dell’umano in un mondo sempre più automatizzato.
Ogni settimana, un breve approfondimento per capire meglio cosa c’è dietro la tecnologia che ci cambia. E per iniziare a domandarci, tutti: dove vogliamo andare?

Puoi seguire la rubrica mettendo fra i preferiti la pagina che raccoglierà le varie puntate: Etica AI, oppure se utilizzi un aggregatore di notizie aggiungendo il Feed RSS di TuttoTech o più nello specifico il Feed RSS della rubrica Etica e AI.

Giovanni Di Trapani, ricercatore del CNR, economista, statitstico ed autore. Si occupa di innovazione, governance pubblica e futuro digitale. Gestisce il sito AIgnosi.it