Come si misura il numero di utenti che guarda un contenuto in TV o in streaming? Se nel mondo della televisione esistono organismi ufficiali (come l’Auditel) e metodologie consolidate per la rilevazione degli ascolti, nel panorama digitale ci si affida a metriche proprietarie, spesso gestite direttamente dalle piattaforme. La questione non è di poco conto, considerando che dal numero di utenti che visualizzano un contenuto dipendono in larga parte i ricavi pubblicitari di chi quei contenuti li produce. Non si tratta quindi di un dettaglio tecnico o di un tema riservato agli addetti ai lavori, ma di un problema concreto che incide sull’equilibrio dell’intero sistema dell’informazione. Proprio per questo motivo, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) ha deciso di intervenire con l’apertura di un’apposita istruttoria.

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L’impatto del fenomeno

Secondo l’AGCOM le piattaforme online raccolgono circa l’85% dei ricavi pubblicitari del settore, lasciando agli editori web solo una piccola parte (circa il 15%). Di fronte a questo squilibrio, l’AGCOM ha deciso di avviare un’istruttoria per esaminare le metodologie di rilevazione adottate dalle piattaforme digitali.

Partendo dalla costatazione della “mancanza di standard condivisi e di metodologie certificate, indipendenti e verificabili per la misurazione sulle piattaforme digitali” c’è il rischio, denuncia l’AGCOM, di “asimmetrie informative e possibili distorsioni di mercato”.

L’obiettivo è quindi quello di verificare se questi sistemi siano compatibili con i criteri di correttezza, trasparenza e verificabilità previsti dalla normativa vigente, e soprattutto capire se sia il caso di introdurre prescrizioni vincolanti. Il procedimento avrà una durata di 150 giorni e potrebbe rappresentare un punto di svolta per l’intero settore.

Un mercato poco trasparente

Alla base dell’intervento c’è una precisa cornice giuridica, che affonda le radici nella legge istitutiva dell’Autorità e in un decreto del 2021 che ha aggiornato le sue competenze per adeguarle alla nuova realtà multimediale. La normativa affida espressamente all’Autorità il compito di garantire che la misurazione delle audience, su qualsiasi mezzo, rispetti criteri rigorosi e sia certificata da soggetti terzi. Il problema è che, nel caso delle grandi piattaforme digitali, i dati di ascolto vengono prodotti con strumenti proprietari, non standardizzati né accessibili, che sfuggono a ogni forma di controllo indipendente.

A livello nazionale, i sistemi di misurazione tradizionali sono gestiti da organismi congiunti tra industria e operatori, come i JIC, ma non riescono a coprire l’intero ecosistema digitale. Inoltre, i principali player internazionali non partecipano a questi consorzi, generando una frammentazione delle metriche in uso e una sostanziale non confrontabilità dei dati. Questo porta a effetti distorsivi sul mercato, rendendo difficile per gli inserzionisti valutare con precisione l’efficacia delle campagne e per gli editori ottenere un’equa remunerazione. Basti considerare che le stesse rilevazioni dell’AGCOM non tengono conto delle smart TV, lasciando di fatto fuori una parte significativa della fruizione digitale.

A rafforzare la spinta verso una regolamentazione più incisiva interviene oggi anche il quadro normativo europeo. L’European Media Freedom Act, in vigore da maggio 2024, stabilisce che tutti i sistemi di rilevazione, compresi quelli interni alle piattaforme, devono rispettare criteri di trasparenza, imparzialità e accessibilità. Anche il Digital Markets Act impone ai cosiddetti gatekeeper digitali l’obbligo di fornire gratuitamente agli editori e agli inserzionisti i dati relativi alle performance pubblicitarie, in formato interoperabile e verificabile.

Questa potrebbe essere una svolta decisiva per ridurre gli squilibri attuali e ristabilire condizioni più eque tra chi produce contenuti e chi li distribuisce a fronte di numeri reali e verificabili.

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